La mossa di Meloni La controproposta del governo sul salario minimo lascia Schlein col cerino in mano

Il presidente del Cnel Renato Brunetta sta elaborando una bozza di riforma con una serie di incentivi e di detassazioni, ma senza intervenire sulla retribuzione minima legale. Una mossa che potrebbe spaccare le opposizioni e vanificare il lavoro fatto fin qui dalla segretaria del Pd

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Ha senz’altro ragione Dario Di Vico sul Corriere della Sera di ieri quando sostiene che per risolvere la questione del salario minimo occorrerebbe spoliticizzarla e cercare di arrivare a una soluzione pragmatica. Impostata così la cosa, un bivio si para davanti a tutte le forze politiche: cercare un compromesso o puntare a prendere tutto il piatto? 

Viste le varie valutazioni sul vertice di venerdì scorso pare di poter dire che il dilemma è tutto nel centrosinistra (o campo largo, senza Italia viva, sulla quale diremo una cosa più avanti), giacché nella mossa di Giorgia Meloni di aprire una fase relativamente lunga di riflessione coinvolgendo Cnel e parti sociali è facilmente leggibile il proposito di arrivare a una mediazione magari, o soprattutto, in grado di spaccare le opposizioni. Ed è qui che il giusto auspicio di Di Vico molto difficilmente verrà esaudito: la bandiera del salario minimo è tutta politica.

Nel campo largo c’è solo un attore che punta a un risultato anche se non pieno, Carlo Calenda. Il leader di Azione ha già fatto capire ai suoi compagni di cordata che intende seguire il lavoro che «Giorgia„ metterà in atto soprattutto attraverso Renato Brunetta, il presidente del Cnel, conoscitore della materia ed ex ministro, tra l’altro, del governo Draghi. Mentre Elly Schlein, tornata imbaldanzita per il fatto di aver indovinato un tema giusto e popolare, è ben poco disposta, anche per un dato di cultura politica, a cercare compromessi. 

Il lavoro di Brunetta produrrà una proposta che conterrà tutta una serie di miglioramenti dal punto di vista dei lavoratori, ma non il salario minimo orario, cioè sarà una misura più larga che però eluderà la bandiera della sinistra. 

Già circolano alcune idee, come quelle che il dem Arturo Scotto ha ipotizzato (criticamente) parlandone con La Stampa: «Faranno una proposta per detassare e incentivare i rinnovi contrattuali, per destassare le tredicesime e i fringe benefits, i premi di produzione, eludendo il tema dei salari bassi».

Tutte cose contenute nel documento già consegnato dal Cnel al Parlamento, nel quale tra l’altro si puntualizza «come il tema salariale, nel nostro Paese, trascini con sé questioni più ampie, che hanno a che fare, in primis, con l’alta diffusione di forme di lavoro irregolare, discontinue o dalla ridotta intensità lavorativa, con una bassa produttività del lavoro e con l’elevato cuneo fiscale». 

Il paper del Cnel affronta di striscio anche due altre questioni che certamente ingolosirebbero i sindacati: maggiore sviluppo del welfare aziendale e degli enti bilaterali, e lancio di incentivi fiscali significativi sia per i rinnovi contrattuali sia per sostenere le forme di partecipazione dei lavoratori agli utili e ai risultati dell’impresa.

Mario Sensini sul Corriere della sera-Economia aggiunge i temi della «decontribuzione per le imprese che condividono i profitti, gli incentivi per chi rinnova i contratti a tempo debito con penalizzazioni per i ritardatari». 

Più carne al fuoco, dunque, che non sarebbe male risolvere per legge prima o contestualmente alla legge di Bilancio, una riforma socialdemocratica che andrebbe ben oltre la questione dei salari bassi e che potrebbe attrarre l’interesse di Matteo Renzi sin qui alla finestra in attesa del fallimento della trattativa, una linea criticata esplicitamente ieri da Elena Bonetti, sempre più vicina all’uscita dal partito di Renzi.

Se le cose andranno così, è chiaro che il campo largo si spaccherà e Azione (e forse Italia viva) appoggerà una proposta comunque innovativa potendo rivendicare il fatto di aver costretto una inizialmente refrattaria Meloni a scendere a patti e dunque contendendole la rivendicazione di una legge migliorativa dell’esistente. 

Da parte loro, Elly Schlein, Giuseppe Conte e Nicola Fratoianni (la foto della limonata di Campobasso), con l’appoggio della Cgil, grideranno alla truffa del governo e al tradimento di Calenda chiamando alla mobilitazione che si incrocerà con quella già annunciata per ottobre da Maurizio Landini.

Questo esito vanificherebbe il buon lavoro che il Partito democratico ha sin qui condotto, portando alla ribalta della politica un tema importante come il salario minimo e il lavoro povero, attirando Azione dalla sua parte e costringendo il governo a fare i conti con la sua proposta dei nove euro orari, per tornare invece sui lidi più confortevoli del massimalismo e della testimonianza di lotta di piazza, una scelta d’altronde coerente con l’apertura di fatto della lunghissima campagna elettorale per le Europee.

Invece di «lavorare nel gorgo» per spuntare un risultato, Elly Schlein potrebbe commettere un errore strategico: regalare a Giorgia Meloni un successo nel campo proprio della sinistra, quello sociale. La segretaria del Pd ha due mesi di tempo per evitarlo.

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