Gli scommettitori farebbero bene a puntare sul fallimento del vertice governo-opposizioni (Italia viva si è tenuta fuori da quella che alla fine potrebbe essere raccontata come una sceneggiata agostana), il primo della legislatura, che si tiene oggi pomeriggio a palazzo Chigi. I segnali sono tutti negativi, da entrambe le parti, con l’esclusione di Carlo Calenda che spera che si tratti dell’apertura di un confronto reale.
Giorgia Meloni il suo beau geste l’ha fatto invitando gli avversari a pochi giorni da Ferragosto, ma al contempo disseminando un’ostentata contrarietà sulla proposta del salario minimo orario di nove euro lordi, un insistito non possumus che non lascia intravedere nulla di buono, talché i duri dell’opposizione (cioè tutti meno Calenda) hanno già fatto capire che nella migliore delle ipotesi sarà un incontro non di rottura totale. Ma se persino il mite Riccardo Magi (Più Europa) dice che forse è meglio giocarsela in Parlamento, dove la proposta Pd-Conte-Sinistra-Più Europa-Azione è depositata, vuol dire che i margini sono politicamente inesistenti. Più chiaro ancora il verde Angelo Bonelli: «Che ci andiamo a fare, se Meloni dice no?».
Nel merito le distanze esistono, eccome. Ma tutti ricordiamo accordi politici e sindacali che partivano da premesse sostanziali lontanissime. Qui è chiaro che il problema è tutto politico. Mentre un accordo, o comunque un clima costruttivo, sarebbe nell’interesse di tutti i lavoratori che puntano a una legge che fissi un salario minimo, la sordità che si sta evidenziando nelle ultime ore da entrambe le parti rivela il doppio interesse politico di Meloni da una parte e Schlein-Conte dall’altra che è quello di scagliare il pallone in tribuna addossandone all’altro la colpa. Giochino vecchio come il cucco.
La presidente del Consiglio potrà comunque dire al suo elettorato che ci ha provato (e in teoria forse continuerà a provarci) e che la responsabilità del fallimento è dei massimalisti di sinistra, i quali a loro volta faranno il discorso uguale e contrario, come nella legge di Archimede: è quello che Calenda definisce «lo schema degli opposti estremismi» che finisce con lo stritolare qualunque possibilità di intesa.
Il discorso vale molto nel Pd (non parliamo di Giuseppe Conte e Fratoianni/Bonelli cui la parte di negoziatori proprio non si addice), dove Elly Schlein forse si è morsa le labbra per aver sposato la misura del governo sulla tassazione delle banche facendo la figura di una sinistra che si accoda alla destra peraltro su un provvedimento demenziale.
L’estate militante che come è stato notato non decolla non ha certo bisogno di questo inseguimento di Meloni alla ricerca di demagogia a buon mercato nel segno di Robin Hood dei poveri ma, al contrario, del massimo di scontro e anche per questo la raccolta delle firme a sostegno della proposta di legge sul salario minimo non è stata sospesa. Cosa insegnerebbe una rottura al primo tentativo di mediazione tra governo e opposizioni? Quello che hanno capito tutti, e cioè che siamo in realtà già entrati nella campagna elettorale più lunga della storia (un anno!) e che dunque ciascuno piazza i suoi carriarmatini sulla scacchiera come a Risiko e che si va verso un autunno estremamente complicato. Non è il tempo dei mediatori. Dopo tante chiacchiere tra i tanti partecipanti, una ventina circa, alla fine tanti saluti, arrivederci e buon Ferragosto. Tutto molto prevedibile, tutto già visto, già vissuto.