Nella nuova realtà politica italiana Sergio Mattarella appare solo. Il suo attivismo non rallenta in alcun modo, anzi, ma trova canali di espressione sempre diversi (ultimo l’appello sul clima firmato con altri cinque Presidenti) come se il suo pensiero e la sua azione non si incontrassero praticamente mai con la politica di questo tempo. C’è da supporre che egli avverta una inedita distanza tra la sua visione e il quotidiano agitarsi del mondo politico ai suoi occhi – e non sbagliando – spesso su questioni di nessuna rilevanza.
Cosa può pensare Sergio Mattarella di un dibattito parlamentare sulla cravatta e le sneakers o su certe diatribe minori o sgraziate come quelle che hanno visto impegnato la seconda carica istituzionale? Come può intimamente reagire dinanzi a una presidente del Consiglio che sulla strage di Bologna non pronuncia la parola «fascista», mentre nelle stesse ore lui la scandiva alta e forte? È giunto persino a muovere serie osservazioni critiche sulle commissioni parlamentari d’inchiesta paventando i rischi di una dannosa sovrapposizione affacciandosi sul margine di un interventismo quirinalizio che era del suo predecessore ma a lui sconosciuto: un segno di mal sopportazione di certe tattiche parlamentari?
La solitudine del Presidente plasticamente resa il 2 marzo a Crotone dopo la tragedia mai chiarita di Cutro mentre il governo fischiettava, è in un certo senso persino istituzionale, nel senso che a differenza dei decenni passati è venuto ormai da tempo a mancare il famoso triangolo istituzionale formato dal capo dello Stato e dai due presidenti delle Camere che costituiva un pezzo fondamentale, anche se informale, del motore della democrazia. Ieri Roberto Fico e Maria Elisabetta Casellati, oggi Lorenzo Fontana e Ignazio La Russa: non possono essere certo paragonabili a ciò che ai tempi rappresentarono Giorgio Napolitano e Giovanni Spadolini, per dire.
E con gli stessi leder dei partiti è probabile che Mattarella non abbia una grande consuetudine né un particolare comune sentire: Elly Schlein, Giuseppe Conte, Carlo Calenda, lo stesso Matteo Renzi (per quanto questo sia stato presidente del Consiglio per tre anni), Antonio Tajani, Matteo Salvini: che c’azzeccano con la storia e la cultura di Sergio Mattarella? Un uomo abituato a parlare con i Massimo D’Alema, i Franco Marini, i Romano Prodi, i Luciano Violante avrà qualche impaccio a capire Schlein e i nuovi dirigenti del Pd. Ma non è solo la differenza generazionale a segnare un solco con il Presidente quanto soprattutto un lessico politico, uno sguardo sulle cose, insomma un modo di fare politica che è distante anni luce dalla cultura del Capo dello Stato: e la gente comune avverte questa distanza e l’apprezza a favore del Presidente.
E poi c’è il capitolo sinora abbastanza inesplorato del rapporto con Giorgia Meloni, che non è solo la presidente del Consiglio ma la persona che in questo momento sembra avere le chiavi del Paese. Mattarella non ha avuto alcun imbarazzo a conferirle l’incarico e successivamente a nominarla capo del governo. Anzi, è il primo ad augurarsi una progressiva evoluzione personale e politica di Meloni innanzi tutto verso la piena adesione ai valori atlantici: e su questo è stato pienamente accontentato. Ma è probabile che al Quirinale si levino alti sospiri di fastidio ogniqualvolta esponenti del partito di Meloni compiano sbreghi istituzionali o esternino opinioni inutilmente polemiche e divisive. Il solco tra lui e un La Russa sarà sempre incolmabile. Ci deve essere, tra gli uomini del Presidente e forse in lui stesso, un grumo di diffidenza verso questa nuova destra che dà l’impressione di volersi prendere il Paese più che governarlo, senza che questo implichi che dal Colle possa mai mancare il senso di collaborazione istituzionale con il governo.
Non è certo la pazienza che gli manca, tantomeno la capacità di ascolto e di successiva mediazione. E però il problema di un Paese che non riesce a riprendersi e tende sempre più a dividersi, socialmente e politicamente, esiste: ricucire è una fatica di Sisifo. Specie dopo otto anni di Quirinale. Perciò immaginiamo che Sergio Mattarella, tra sé e sé, delle domande sullo stato abbastanza penoso del dibattito pubblico e dell’azione dei partiti magari se le ponga. Non risparmiando nessuno, s’intende. Forse concludendo, in solitudine, che una volta era molto meglio.