Quant’era bella giovinezzaLa sanità italiana non riesce a compensare l’invecchiamento della popolazione

I medici sono in aumento, così come gli infermieri. A cambiare, negli ultimi vent’anni, è stato il rapporto tra il numero di dottori e gli anziani, cioè quelli che hanno più bisogno di cure e assistenza

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Secondo i più recenti sondaggi di Eurobarometro sia per gli italiani che per gli altri popoli dell’Unione europea al primo posto tra le riforme prioritarie che i singoli Paesi, con l’aiuto di Bruxelles, dovrebbero intraprendere ci sono quelle riguardanti la sanità. Viene anche prima dell’istruzione, del mercato del lavoro, della transizione ecologica, del sostegno alle famiglie.

All’origine dell’emergenza, delle liste di attesa che si allungano, dell’assenza dei medici di famiglia, non c’è solo la maggiore consapevolezza dell’importanza del settore che il Covid ha portato, ma soprattutto una delle sfide epocali del ventunesimo secolo (e probabilmente anche dei successivi): il calo demografico. I dati, pubblicati molto di recente, sono chiari.

È importante sottolineare che i medici praticanti per adesso non sono in calo, né in Italia né altrove. Nel nostro Paese nel 2022 erano 424,9 per centomila abitanti. E facendo una media dei numeri degli ultimi tre anni siamo circa a metà classifica in Europa.

Lo stesso discorso si può fare per un’altra categoria indispensabile e spesso ignorata, quella degli infermieri, che sono 621,3, sempre ogni centomila persone.

Dati Eurostat

Certo, in Italia già si nota un certo rallentamento del trend, non a caso negli anni Duemila vi erano più medici pro capite che in Spagna e in Germania, mentre ora in questi ultimi due Paesi ne sono presenti circa il sei per cento in più.

Questo è un dato importante, un sintomo del fatto che la situazione italiana è in realtà ancora più grave di quella degli altri Paesi.

Tuttavia il fatto più rilevante è il rapporto tra il numero di medici e quello di coloro che di cure sanitarie hanno più bisogno, gli anziani. È qui il principale problema, è qui che entra in gioco la transizione demografica e il suo impatto, che come si vede, è più trasversale di quello che si pensa.

Se nel 2000 vi era una ragionevole relazione diretta tra proporzione di over settantacinquenni nella popolazione e densità di medici, ovvero ve ne erano di più laddove vi erano più anziani, oggi le cose sono cambiate.

L’Italia si posiziona come il Paese in cui la percentuale di ultra-75enni, il dodici per cento degli abitanti, è di gran lunga la più ampia, eppure siamo passati dall’essere tra gli stati con più dottori a metà classifica. Ve ne sono decisamente di più in Spagna, Norvegia, Austria, Germania, Lituania, dove la quota di anziani è, di poco o di molto, più ridotta.

Dati Eurostat

C’è stata un’evoluzione differente da quella che ha interessato il resto d’Europa. In alcuni (rari) casi come la Svezia il numero di medici pro-capite è cresciuto anche in assenza di invecchiamento della popolazione, in altri, come in Germania o Spagna, le due cose sono andate quasi di pari passo. In Italia, invece, la crescita della quota di over-75 è stata decisamente più rapida.

Il risultato è che oggi abbiamo il terzo peggior rapporto tra numero di medici e di popolazione con più di settantacinque anni dopo Lettonia e Francia. Ce ne sono solo 34,55 ogni mille. Non solo, scivoliamo al penultimo posto, davanti ai soli francesi, se il confronto è con gli over-80.

Ci sono 54,19 medici ogni mille ottantenni in Italia, mentre in Germania sono 63,48, in Spagna 73,78, nei Paesi Bassi 81,51, in Irlanda addirittura 115,13.

Dati Eurostat

Considerando che, è pleonastico dirlo, sono questi, gli over-75, gli over-80, ad avere maggiore necessità di servizi sanitari, siamo davanti a un grande incremento di domanda di fronte a un’offerta che non aumenta abbastanza. Aggiungiamo a questo il fatto che negli anni, anche a parità di età, è cresciuta l’attenzione per la propria salute, vi è una maggiore premura di fare prevenzione, di approfondire un sintomo.

Come mai l’offerta stenta? In parte proprio per la stessa ragione che sta portando a un eccesso di domanda, la transizione demografica: i medici italiani sono i più vecchi d’Europa, più di metà, il 54,1 per cento di essi, ha più di cinquantacinque anni. Questa percentuale è del 44,1 per cento in Germania, del 44,6 per cento in Francia, del 32,7 per cento in Spagna. E questo invecchiamento è avvenuto in modo più veloce proprio nel nostro Paese che altrove.

Dati Eurostat

Non si tratta solo di questo, però. Tra i motivi c’è anche il limitatissimo afflusso di medici dall’estero. Solo l’1,5 per cento di quelli presenti si è formato in altri Paesi e poi è arrivato in Italia, meno che in Romania, in Polonia, che in gran parte dei Paesi dell’Est. A questi ci accomuna, tra l’altro, un destino di emigrazione sostenuta del personale medico.

È stridente il confronto con realtà come quelle della Norvegia, dell’Irlanda, della Svizzera, dove intorno al quaranta per cento dei medici è immigrato.

Singolare è il caso della Grecia, dove un terzo dei dottori ha studiato altrove, per esempio proprio in Italia, ma si tratta in gran parte di greci che poi sono tornati.

Dati Eurostat

Abbiamo grande bisogno di stranieri che si formino nel nostro Paese e ci rimangano, o che arrivino anche dopo. Come accade nel caso di tanti infermieri che sono giunti nel nostro Paese.

Ci si può consolare con il fatto che dal 2014 aumentano i laureati in medicina, e non di poco. Sono più di diciotto all’anno ogni centomilamila abitanti, erano meno di dodici un anno fa. Abbiamo fatto meglio degli altri Paesi europei da questo punto di vista.

Basterà di fronte all’invecchiamento di chi medico è già e sta per andare in pensione? Di fronte alla crescita inarrestabile della proporzione di anziani? No. La transizione demografica ci sta facendo pagare pegno anche in questo ambito, non solo in campo pensionistico, economico, fiscale.

Visto che interessa tutta Europa nel medio periodo neanche l’immigrazione da altri Paesi può essere una soluzione stabile. In una lotta a chi strappa più giovani, risorsa sempre più scarsa, all’altro, i Paesi più poveri come l’Italia sarebbero perdenti.

E di fronte all’ineluttabilità dei comportamenti riproduttivi in Occidente, non possiamo sperare in un ritorno a un numero di nascite analogo a quello di cinquant’anni fa, l’unico aiuto può venire dalla tecnologia. Anche se questo vuol dire che si tratterà soprattutto di soluzioni che importeremo, se il sistema Paese rimarrà questo, allergico alle innovazioni, allergico alla ricerca.

Insomma, il futuro non possiamo prevederlo, non sappiamo quanto l’informatizzazione e l’intelligenza artificiale potranno prendere piede nella sanità e quanto velocemente, ma una cosa appare piuttosto certa: è meglio se gli attuali over-50 che non sanno farlo comincino a imparare a usare il computer e gli strumenti digitali.

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