Esibizione del distaccoTeoria e tecnica del broncio dissociativo

Le celebrity della generazione Z si fanno i seflie imbronciati per protestare contro le foto in posa degli influencer adulti. Basta perfezione: è arrivata l’estetica lobotomica

Unsplash

Il selfie come metodo per un glorioso futuro della ricerca psicologica sembra essere l’ultima scoperta americana. Un giochetto che sta tra il gossip e la scuola di psicologia comportamentale di Palo Alto. Ed ecco sotto la lente d’ingrandimento dei ricercatori la Generazione Zeta che offre l’assist per una definizione dal sapore accademico: il broncio dissociativo. Un fenomeno creato dalle celebrity e dalle influencer che si fanno selfie imbronciati per lanciare un messaggio dissidente alle generazioni dei trenta quarantenni, colpevoli di aver artefatto i propri ritratti per troppo tempo. Tra le eroine della tendenza c’è Billie Eilish che con questo stile ha detronizzato le pose photoshoppato e lucide delle signorine K (Kardashian).

L’incazzatura della Gen Z (in sintesi, i ventenni) era nell’aria già a fine pandemia ma la guerra in Ucraina e l’indignazione ambientale ne stanno aumentando il senso di ribellione. Lo dice il marketing generazionale, avvisando il mercato della cosmesi che è necessario adeguare le proprie linee alla nuova estetica definita lobotomy-chic.

Ma poi lo teorizza anche la giovanissima sociologa canadese Rayne Fisher Quann, intellettuale della Gen Z che in rete ha una lista assurda di definizioni: da deep state princess a critica culturale, da piccolo angelo del benessere a thinkfluencer. È lei a sbattere la verità in faccia alle icone Ig degli anni Dieci: basta perfezione, è arrivata lestetica lobotomica, detta in modo più accademico, lera del broncio dissociativo.

Sostiene Fisher Quann, intervistata da iD: «Lestetica predilige labbra imbronciate e gonfie, tese in un cipiglio disamorato». E la spiegazione è che lobiettivo del broncio dissociativo si trova nell’«esibizione del distacco», la necessità di apparire il più disinteressate, insensibili e apatiche possibile. Nel mirino ci sono i modelli estetici dei millennial imperniati sul mostrarsi protagonisti di vite meravigliose, dorate, spericolate, euforiche, lussuose ma anche meticolosamente filtrate.

Tendenza virale, per quanto ne sappiamo, riscontrabile nei profili delle star più seguite su Tik Tok e Instagram: Amelia Gray Hamlin, Bella Hadid, Addison Rae e lattrice di Euphoria Chloe Cherry. Basta scrollare i profili per notare i selfie imbronciati, gli occhi vitrei e lo sguardo vuoto tipico di un elettroshock definitivo.

Dalle celeb, si scende alla vita reale e il broncio dissociativo diventa cruccio per un sito autorevole dedicato ai fotografi di matrimonio (weddingphotography.com) che ha raccolto la tendenza alla ricerca della foto imperfetta tra i più giovani. In modo particolare gli sposini sarebbero stati sedotti dalleffetto blurry, ovvero sfocato. Qualcosa che si oppone all’estetica patinata degli hashtag #lovemyjob e via dicendo. 

Stesse conclusioni per PetaPixel.com che ha rilevato unaltra bizzarria del selfie, etichettato come selfie 0.5. Ovvero inquadrature che puntano a scatti dismorfici, con braccia lunghissime e fronte enorme sul modello di Mercoledì della Famiglia Addams.

Così finisce quella che, per oltre un decennio, è stata la regola K, che imponeva al selfie la tipica espressione a becco di papera, messa a punto dal clan Kardashian. La posa si ottiene succhiandosi le guance e increspando le labbra per creare un effetto ammiccante e allegro. Un esercizio che richiede un certo training.

Attendiamo una lettura italiana del fenomeno, anche se, in fondo, basterebbe seguire la via indicata dal compianto sociologo Giampaolo Fabris: laregola” per cui, allinizio di un decennio la cultura pop archivia malamente il decennio precedente e ripesca quelli prima. La Generazione Z è infatti affascinata dallera Y2K, dagli anni Zero e dagli anni Novanta, come testimonia la celebrazione delle fotocamere Point-and-Shoot dei primi anni 2000 su Tik Tok. O della Lomografia, quella moda che sfruttava l’imperfezione delle macchine fotografiche russe Lomo. Ma anche da una certa estetica grunge. In attesa che il neorealismo del social network BeReal dia la testata definitiva.

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