A peso d’oroFinché l’Africa non cresce e la popolazione aumenta non si può fermare l’immigrazione

L’illusione di chi pensa a un nuovo piano Mattei si scontra con i dati economici dei Paesi dell’area subsahariana, dove i tassi di crescita si sono addirittura ridotti nell’ultimo decennio, in contrasto con il resto del mondo

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Il Pil pro capite dei Paesi dell’Africa subsahariana, calcolato secondo il criterio del potere d’acquisto e in dollari costanti (per sterilizzare l’effetto dell’inflazione) secondo la Banca Mondiale è di 3.757 dollari. Quello dell’Italia è di 43.788, e quello dell’Area euro di 47.785. Nel 1990 questo era di 2.931 dollari a sud del Sahara e di 36.586 nel nostro Paese. 

Questi numeri nudi e crudi da soli fanno comprendere quanto sia distante oggi come ieri la nostra realtà e quella dei luoghi da cui provengono gran parte dei migranti. Ma soprattutto quanto sia abbastanza illusorio pensare che in breve tempo lo sviluppo economico possa colmare il gap. È un’illusione che non coinvolge solo chi parla di piano Mattei o di Piano Marshall per l’Africa, ma anche molti di coloro che in buona fede credono che la crescita del Sud del mondo, all’interno della globalizzazione e grazie alla globalizzazione, possa risolvere gli squilibri alla base dell’immigrazione in un tempo mediamente breve. 

Davanti agli occhi di molti vi è l’esempio cinese e di altri Paesi dell’Asia orientale, dove pure non sono stati raggiunti i livelli di benessere occidentali, ma in cui è perlomeno venuta meno la spinta a partire che tradizionalmente viene dalla miseria. Non si tratta, però, della regola, e certamente non sono dinamiche che si possono applicare all’Africa Subsahariana. 

Anzi. Quello che forse non tutti sanno è che se rispetto al 1990 i tassi di crescita del Pil pro capite africano, di quello della sola Africa Centro-Occidentale (da cui vengono molti migranti), e di quello del Medio Oriente e del Nordafrica sono stati superiori a quello Pil italiano, quando a essere presi in considerazione sono gli ultimi otto anni le cose cambiano. Africa subsahariana e Africa Centro-Occidentale hanno visto addirittura una riduzione del 2,3 per cento e del due per cento tra 2014 e 2022, mentre Medio Oriente e Nordafrica sono cresciuti del 6,7 per cento, meno del 9,7 per cento italiano e del 10,9 per cento dell’Eurozona.

Dati della Banca Mondiale

La cosa è stata ancora più evidente in Medio Oriente e Nordafrica, dove questo processo era cominciato una ventina di anni fa, quando i quindici-sessantaquattrenni avevano superato il sessanta per cento.

Dati della Banca Mondiale

A questo si aggiunga il fatto che in queste ampie aree del mondo permane una situazione di disuguaglianza molto più marcata di quella presente in Europa. Il cinquanta per cento più povero della popolazione dell’Africa subsahariana incamera solo il 9,1 per cento del reddito e lo 0,8 per cento della ricchezza. Nella sola Africa Occidentale queste percentuali salgono rispettivamente al 12,1 per cento e 2,9 per cento e in Nordafrica al 13,2 per cento e 2,8 per cento. In Europa Occidentale la metà più povera della popolazione percepisce il 19,6 per cento dei redditi, principalmente grazie al welfare, e possiede il 4,2 per cento dei patrimoni. 

Se nel tempo vi sono stati flebili miglioramenti a Sud del Sahara, questo non è accaduto nel Nordafrica, anche a causa delle guerre civili seguite alle primavere arabe. Così i divari tra ricchi e poveri sono rimasti molto ampi, anche più ampi di quelli presenti nel Nordamerica, dove la disuguaglianza è da sempre maggiore che in Europa. 

Dati del World Inequality Database

Tutto ciò ci indica che i fattori che spingono a migrare non stanno venendo meno, e non verranno meno nel breve e medio periodo. I progressi fatti tra 2000 e 2014, quando i benefici della globalizzazione si sono estesi all’Africa, non hanno diminuito la pressione migratoria, anzi, oltre ad aumentare la pressione demografica (diminuendo parte della mortalità infantile) hanno fornito in molti casi i mezzi per partire, per pagare il viaggio della speranza verso l’Europa.

L’attuale stagnazione può solo indurre ulteriori migrazioni, sia all’interno dell’Africa, dove avviene la maggior parte di esse, che verso il mondo ricco. Ed è ingenuo pensare che a fare da pull factor, invece che dei punti citati, siano tre navi di Ong che cercano di strappare dall’annegamento quanti arrivano ormai all’ultimo miglio del viaggio verso l’Europa.

Ancora più ingenuo è credere che in questa situazione si possa innescare quella crescita che è mancata finora, di tipo asiatico, attraverso qualche miliardo di assistenza, fornita tra l’altro da coloro che si oppongono ad abbattere dazi e barriere al libero commercio, che la storia insegna essere uno dei veri inneschi dello sviluppo.

Il fenomeno migratorio è sempre esistito, le attuali condizioni dell’Africa non possono che incrementarlo, almeno finché anche a quelle latitudini si faranno sentire gli effetti di un invecchiamento della popolazione analogo a quello europeo, ma mancano ancora molti decenni. Ogni sforzo dovrebbe essere concentrato sulla sua gestione, sui vantaggi che può portare se ben governato, invece che sul suo blocco.

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