Da quando è ripresa l’attività politica, il governo è entrato in una situazione che La Stampa ha definito di «pre-crisi». Il direttore Massimo Giannini ha anche fatto un nome per il dopo-Meloni, quello dell’economista Fabio Panetta, ora alla Bce, definito «un Draghi di destra». Non siamo a questo, però è vero un fatto: che da qualche giorno per un motivo o per un altro sono tornati a circolare nel dibattito politico nomi pesanti a dimostrazione che nulla è scontato e che in ogni caso si avverte un bisogno di «adulti nella stanza» di fronte alla nuova emergenza immigrazione e soprattutto in presenza di un’economia di fatto quasi in recessione, un doppio ostacolo troppo alto per il governo italiano.
La gravità della situazione, acuita dall’insipienza di un esecutivo nel quale i ministri fanno a gara a chi fa peggio, è quotidianamente leggibile sul volto di Giorgia Meloni, ora impaurita ora arrogante, e resa evidente dalle sue parole o inutilmente aggressive o inconcludenti. È già stanca, la premier, politicamente esausta: troppi fronti aperti, troppi errori, troppe insidie “amiche”.
Bisogna capirla: se tu vai a Lampedusa con Ursula von der Leyen, cioè con l’Europa, e il tuo vicepresidente invita a Pontida Marine Le Pen, cioè l’anti-Europa, è giusto che ti vengano i cinque minuti. Ma che Salvini fosse una spina nel fianco lo sapeva, ed è bene che sappia che sarà sempre peggio.
Quello che la premier ha clamorosamente sottovalutato è che il fenomeno degli sbarchi prendesse la forza che ha preso negli ultimi tre mesi. Prima ha sperato che il fenomeno non esplodesse, poi che bastasse promettere qualche soldo a Sayed, che l’Europa facesse qualcosina, che la retorica del “piano Mattei” funzionasse. Infine, quando ha visto che tutto questo non accadeva e che Salvini tornava a fare il duro, si è ributtata sul mix blocco navale-campi di detenzione, peggiorando la situazione.
Così tutti hanno capito che Meloni non sa bene cosa fare, come si è visto dal breve tour di ieri a Lampedusa, pretendendo l’aiuto dell’Europa mentre segue il capo leghista sull’utilizzo della Marina (per fare che?), una politica schizoide che produce solo immobilismo e mancanza di credibilità. S
Sul fronte economico non va meglio. Se il Pd fosse un partito normale, in questa fase dovrebbe dire una sola chiara cosa: i prezzi aumentano e salari e stipendi sono bassi. Battere su questo tasto, inventarsi una proposta seria capace di parlare a tutto il Paese. Ma il Pd non appare, per ragioni varie, non ultima la crisi comunicativa di Elly Schlein, un’alternativa a questo governo, né Matteo Renzi o Carlo Calenda sembrano un grado di superare una fase ancora immatura della loro iniziativa (con punte di infantilismo nella polemica tra i due o nella vicenda “amletica” di Ettore Rosato).
Ecco perché Meloni non mette nel mirino il Pd o Renzi o Conte ma Paolo Gentiloni e tenta malamente di ingraziarsi quel Mario Draghi che ha appena ricevuto un incarico importantissimo da Ursula von der Leyen. Magari attaccherà Marco Minniti, che ieri a In Mezz’ora, la trasmissione di Monica Maggioni, ha dimostrato una volta di più la distanza siderale che lo separa in quanto a competenza da un Matteo Piantedosi. È persino circolato il nome di Mario Monti e come detto si parla di un tecnico come Fabio Panetta come possibile premier.
Ora è chiaro che in questa legislatura è praticamente impossibile un governo tecnico, ipotesi scartata con sdegno dal Pd fin dai tempi di Enrico Letta (un’altro che ha avuto un importante incarico sempre dalla Ue) e che la destra vivrebbe come un’umiliazione cocente, e certo ora nessuno vuole le elezioni anticipate, e tuttavia il fatto che se ne parli e che certi nomi tornino nel dibattito pubblico indica con certezza una cosa: a questo punto nessuno può giurare che Giorgia Meloni duri altri quattro anni. A partire da lei.