A meno che non divenga possibile chiederlo direttamente a lui in sede di processo presso il Tribunale Penale Internazionale, probabilmente la domanda sul come possa Putin essersi convinto che l’Ucraina non avrebbe combattuto sarà una di quelle che appassioneranno gli storici per decenni a venire, un po’ come il perché Hitler abbia rinunciato a sconfiggere la Gran Bretagna nel 1941 e abbia invece deciso di attaccare l’Unione Sovietica avviando così un conflitto su due fronti destinato a portarlo dal trionfo al disastro.
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Il retroterra professionale di Putin quale agente del KGB lo ha dotato di una estesa conoscenza delle debolezze dell’Occidente così come delle capacità russe in termini di operazioni sotto copertura; ne ha abbondantemente approfittato durante la sua presidenza per portare a termine iniziative anche avventate con mezzi relativamente scarsi e correndo rischi che una nazione più pragmatica avrebbe evitato.
Il vantaggio di essere un uomo solo al comando consiste proprio nel fatto di poter assumere iniziative pericolose senza il bisogno dell’approvazione di alcuno e nella certezza che a meno di fallimenti clamorosi nessuno gliene chiederà conto. Una riconosciuta capacità di correre rischi calcolati e una certa dose di fortuna hanno così portato Putin a una serie di successi che hanno a loro volta alimentato tanto il suo narcisismo che la sua popolarità, ma hanno anche esaltato oltre misura la sua sicurezza in se stesso.
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Accecato dai successi precedenti e dal suo naturale narcisismo, Putin ha deciso di saperne più dei suoi stessi servizi segreti: ha intimidito chi gli forniva aggiornamenti informativi e seguito il suo istinto obbligando il proprio Stato Maggiore a seguire le sue direttive. Il risultato è stata una pianificazione operativa rivolta a un forced entry in Ucraina per occupare i centri nevralgici del paese prevenendo resistenze isolate e asimmetriche, e non a un’invasione per sopraffare un avversario deciso a resistere in maniera simmetrica.
L’occupazione preventiva, quando è possibile scegliere ovviamente, è preferibile a un’invasione. Si tratta di un’operazione militare effettuata di slancio, sfruttando una superiorità di iniziativa, di comando e controllo e di mobilità tale da anticipare qualsiasi contromossa avversaria, e quindi idonea a ottenere il risultato con uno spargimento di sangue minimo e senza danni significativi all’infrastruttura militare o civile. Un’operazione di questo genere, se portata a termine con successo, apporta a chi la effettua il prestigio di chi è capace di dominare completamente l’avversario, al punto da impedirne del tutto la reazione.
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L’occupazione preventiva dell’Ucraina, qualora avesse funzionato, sarebbe stata il capolavoro politico di Vladimir Putin. Si è trattato di un rischio gigantesco, infinitamente superiore a quelli già corsi in Crimea e in Siria, probabilmente scaturito proprio dai successi maturati in tali teatri. Di fatto, Putin si è comportato come quel giocatore d’azzardo che, abbagliato dal momentaneo successo, decide di giocarsi tutte le vincite precedenti per un’ulteriore mano decisiva… Ma sopravvaluta le proprie carte e si vede beffare dalla fortuna all’ultimissimo momento.
L’errore concettuale di credere che gli ucraini non si sarebbero battuti per il loro paese con la stessa energia con cui i russi avrebbero difeso il proprio in caso di aggressione è probabilmente il più grave in assoluto fra quelli commessi da Putin in questo conflitto, in quanto ha segnato fin dall’inizio una campagna per la quale la Russia semplicemente non disponeva di una superiorità militare sufficiente a prevalere nei tempi necessari a prevenire una reazione occidentale. Sottovalutare l’avversario e sovrastimare le proprie forze sonosempre gli errori più gravi che possa commettere un condottiero; Putin li ha commessi entrambi.