Diseducazione sentimentaleLa tossica relazione tra potere e lavoro nel nuovo libro di Francesco Pacifico

Ne "Il capo" (Mondadori), l’autore racconta la storia di un abuso lavorativo. Come spiega a Linkiesta, ha scelto di ambientare la vicenda nel Pigneto, il quartiere «dal sapore crudo, dell'ingiustizia sociale ma anche delle relazioni autentiche»

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«Comandare le persone è un’esperienza. Per i capi far piangere la gente nei bagni è sempre stata una magia», così Francesco Pacifico nella prima pagina del suo ultimo romanzo “Il capo”, edito da Mondadori, un romanzo che racconta la storia di abuso subita da Gaia sul luogo di lavoro. Pacifico da sempre ha deciso di raccontare il contemporaneo partendo da una decostruzione del privilegio e questa volta decide di scandagliare il mondo del lavoro, di analizzare tutti i risvolti del potere oggi. Francesco mi da appuntamento per l’intervista in un bar del Pigneto, quartiere di Roma dove vive e quartiere per eccellenza del conflitto sociale, lui che viene dai Parioli in questo spicchio di Roma Est ha ritrovato il sapore crudo dell’ingiustizia sociale ma anche relazioni autentiche e un senso di futuro. Partiamo proprio da qui, dalla sua famiglia e dai Parioli per parlare de “Il capo”.

In una recente intervista hai dichiarato che ogni tuo libro è un coming out con la tua famiglia. Questo libro che coming out è?
Ti rispondo con la chat di famiglia, mia madre scrive che questo libro le interessa molto, perché finalmente non parla di sesso ma di potere. Mio padre allora interviene: “Parla di potere? Spero che non parli di me!” Questo scambio spiega molto bene il mio percorso, io ho scritto “Storia della mia purezza” sulla religione, “Class” sull’appartenenza di classe, “Le donne amate” sull’amore borghese: sono cresciuto davanti a una parrocchia, in una famiglia borghese e sono stato un figlio ”addomesticato”, sono un borghese cattolico, per me il romanzo è ed è stato uno strumento di emancipazione. In questo percorso non potevo a un certo punto che scrivere del potere.

Protagonista del libro è il lavoro oggi. Quanto è cambiato il lavoro oggi con l’arrivo delle nuove tecnologie, quanto è più asfissiante?
La protagonista del libro, Gaia, quando prova a ribaltare il rapporto di abuso spegne il telefono, quello sembra essere il vero strumento di potere. È così in effetti, infatti il primo atto di manipolazione il capo lo mette in atto non rispondendo al telefono a Gaia e facendo rispondere un collega che Gaia odia. Il primo atto di gaslighting è questo. E il primo atto di libertà di Gaia è spegnere il telefono e qui si rovescia il campo, ma io scrivendolo quasi non me ne sono accorto perché questa tecnologia ha talmente esagerato le forme di controllo e di autocontrollo che viviamo che non ce ne rendiamo più conto. Io, per esempio, ho due smartphone: uno privato e uno di lavoro e scrivo su un tablet senza altre app se non quella di scrittura, voglio moltiplicare i devices per sentirmi libero.

Il capo, nel tuo libro, è il capoufficio di una Fondazione pubblica che si occupa di cultura, anche qui l’ideologia del lavoro è strettissima, bisogna seguire la mission aziendale, essere tutti partecipi del destino dell’azienda, esiste ormai una vera e propria religione del lavoro?
Mentre stavo scrivendo questo libro è iniziato il movimento delle Grandi Dimissioni, se ci pensi questo movimento nasce prima ancora che per le condizioni di lavoro, nasce proprio per questo per la voglia di uscire dall’ideologia del lavoro di oggi in cui ci devi credere per forza, è come se tutti fossero diventati dei preti che vogliono spretarsi. Nessuno può e vuole dare tutto in ogni momento.

Nel tuo percorso di scrittura tu hai voluto decostruire il tuo privilegio, quanto è fondamentale oggi fare una riflessione e un’analisi sul rapporto tra Capitale e Lavoro, tra chi ha una casa e chi no.
Sì, è fondamentale, non si può parlare di lavoro se non si distingue tra chi ha o può avere una casa e chi invece non potrà mai, tra chi può permettersi le vacanze e chi no, tra chi non ha bisogno di un mutuo e chi lo cerca disperatamente. A me ha sempre aiutato il romanzo francese che da sempre racconta delle famiglie borghesi, nel romanzo francese si è sempre parlato di soldi. Noi in Italia facciamo un po’ fatica ma è arrivato il momento di andare fino in fondo a questa questione.

Quanto un uomo oggi ha un atteggiamento abusante e invasivo nei confronti di una donna senza rendersene conto? E quanto questo si rispecchia nel mercato del lavoro?
Il mio personaggio Marco in una situazione di disagio totale con Gaia, spera comunque di poterla conquistare e portare a letto, questo è il vero bias con cui noi siamo cresciuti e nessuno dei noi è innocente. Oggi sentiamo e scopriamo quante situazioni di disagio ci sono e noi giriamo la testa. Ho voluto mettere in scena una situazione di dominio e un uomo debole, debolissimo. Volevo mettere in scena quello che accade tutti i giorni. L’educazione sentimentale che abbiamo ricevuto noi uomini è questa, un misto di debolezza e sopruso.

Inizi a scrivere questo libro a fine Lockdown ed esce oggi, tre anni dopo, che cambiamenti noti nella società durante questo periodo?
Per me è profondamente affascinante quando un qualcosa che prima non potevi neanche pensare improvvisamente puoi dire e anche agire di conseguenza. Così è successo con l’ondata delle Grandi Dimissioni, fino a pre-lockdown l’ossessione delle persone era non essere stati abbastanza produttivi al lavoro e adesso tutti si avvicinano all’idea che il lavoro ha chiesto troppo e va riorganizzato. In questo periodo stanno cambiando tutti i paradigmi come succede poche volte nella storia e non possiamo che scriverne, raccontare quello che succede.

Nell’analisi del privilegio fai anche un’analisi geografica, tu vieni dai Parioli il quartiere della ricchezza e hai deciso di vivere a Roma Est, al Pigneto. Come cambia la città, cosa cerchi in questo cambiamento?
I Parioli è ormai un territorio pieno di ipocrisia e barricate, le zone del privilegio sono zone in cui non c’è accoglienza e non c’è relazione. Ecco perché spesso chi vive nelle zone del privilegio, come me, scappa da quei luoghi per andare in zone come il Pigneto, dove si vive bene, dove si creano relazioni, rapporti, dove se vai in un bar puoi stare quanto vuoi senza consumare nulla, sei un essere umano, nei luoghi della ricchezza sei solo un consumatore. Certo noi borghesi siamo colonizzatori e quindi dove andiamo distruggiamo l’ecosistema e questo adesso sta accadendo anche nei quartieri popolari della città.

Hai raccontato che durante la pandemia hai visto una ventina di film di Hitchcock, proprio ne “Il Capo” ritroviamo una tensione, una struttura da Thriller Psicologico. Anche Antonella Lattanzi per esempio nel suo ultimo libro utilizza questa forma. C’è una nuova tendenza nella letteratura di oggi? Utilizzare il genere letterario per raccontare la società?
Il quadro complessivo è sicuramente interessante, nel mio caso io avevo deciso di giocare con questa struttura perché mi sembrava che potesse dare un nuovo spunto alla narrazione e alla scrittura, ero talmente in questa direzione che il titolo di lavoro del libro fino all’ultimo era stato proprio “Thriller”. Inoltre nel mondo anglosassone da Don Delillo a Pynchon c’è sempre un’aria da thriller internazionale, il thriller è uno strumento importante della narrazione. È stato decisamente più interessante scrivere trattenendo le informazioni, soprattutto rispetto ai miei libri precedenti dove molto cattolicamente scrivevo come se mi stessi confessando.

Per te tutte le relazioni sono relazioni di potere?
Diciamo che la cosa più importante è porre la questione. Adesso bisogna stare più attenti quando parliamo di certi temi, dobbiamo sapere che prima di parlare devi negoziare il potere con gli altri, prima di parlare bisogna porre le questioni di disparità che siano economiche o di genere. Troppe volte ho sentito ricchi e privilegiati dire “non c’ho na lira”, ormai quando parliamo dobbiamo imparare bene a soppesare le questioni e le situazioni, la parola è un’arma.

Gaia nel raccontarti la sua storia ti ha manipolato e usato?
Quando qualcuno ti racconta una storia c’è sempre una manipolazione che si accompagna alla necessità di espressione. Nel suo raccontarmi la storia c’è una sorte di messaggio lanciato verso la sua compagna, Calla. Per me è importante stare in quello spazio narrativo in cui non sappiamo se questa è una storia vera o finta. E all’interno della manipolazione di Gaia però io ritrovo il mistero profondo, il miracolo del raccontare: tutte le storie sono popolate di fantasmi e di sdoppiamenti, raccontare è un gioco di specchi.

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