La volpe e l’uvaL’indipendenza di Gentiloni e la frustrazione politica del governo Meloni

L’improvviso attacco da parte della presidente del Consiglio e dei suoi alleati Salvini e Tajani al Commissario Ue italiano è causato dalla consapevolezza di non poter rovesciare alle prossime elezioni europee la grande coalizione di socialisti, verdi e popolari a Bruxelles

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Con qualche rara eccezione (i commissari ungherese Oliver Varhelyi, sloveno Janez Lenarcic e francese Thierry Breton), l’origine dei membri della Commissione europea è politica prima che nazionale e l’insieme di quello che viene chiamato collegio rappresenta una coalizione politica a cui appartengono tutti i gruppi o parti di gruppi nel Parlamento europeo che hanno dato vita nel novembre 2019 alla cosiddetta maggioranza Ursula che va dal conservatore polacco dell’ECR Januz Wojciechowski a nove socialisti e nove popolari passando per quattro liberali e anche per un verde (indipendente).

Fu la stessa presidente Ursula Von der Leyen del resto a definire la dimensione del suo collegio «geopolitica» nella logica europea che conduce alla nomina della Commissione europea attraverso la diarchia fra il Consiglio europeo – in rappresentanza dei governi – che sceglie il/la presidente della Commissione europea a maggioranza qualificata e il Parlamento europeo – in rappresentanza delle cittadine e dei cittadini che lo hanno eletto –  che lo/la elegge e dà la fiducia all’intera Commissione europea alla maggioranza dei membri.

Giorgia Meloni, Antonio Tajani e Matteo Salvini fanno finta di ignorare che la Commissione europea è composta certo attualmente da un commissario per paese ma che il Trattato di Lisbona precisa sia nell’articolo 17 TUE che «i membri della Commissione non sollecitano e non accettano istruzioni da nessun governo» sia nell’articolo 245 TFUE che «gli Stati membri rispettano la loro indipendenza e non cercano di influenzarli nell’esecuzione della loro missione».

Nella storia della Commissione europea ci sono stati alcuni momenti in cui capi di Stato o di governo hanno manifestato irritazione per il fatto che un commissario non «aveva avuto un occhio di riguardo» (l’espressione è di Giorgia Meloni) per il proprio paese di origine ma nessuno è arrivato fino al punto di affermare – come ha fatto la stessa Giorgia Meloni spalleggiata da Matteo Salvini e anche da Antonio Tajani – che i membri della Commissione rappresentano a Bruxelles «gli interessi della Nazione».

Le dichiarazioni di Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Antonio Tajani devono essere lette non solo (per Giorgia Meloni e Matteo Salvini) come una conferma del loro orientamento irriducibilmente nazionalista ma soprattutto nella prospettiva della definizione degli equilibri politici dopo le elezioni europee nel giugno 2024 e delle nomine europee e internazionali che al risultato di quelle elezioni e di almeno sette elezioni nazionali saranno legate.

L’improvviso – anche se non inaspettato – «assedio» (come lo ha definito La Stampa) a Paolo Gentiloni dal trio governativo Meloni-Salvini-Tajani deve essere letto come il frutto della frustrazione tutta politica di chi vede sfumare progressivamente l’illusione di poter rovesciare il tavolo a Bruxelles rigettando all’opposizione socialisti e verdi e creando una coalizione PPE-ECR-Renew Europe nel Consiglio europeo, nel Parlamento europeo e nella Commissione europea.

Nelle ultime settimane la frustrazione è aumentata perché cinque relatori della commissione affari costituzionali del Parlamento europeo hanno approvato un progetto di riforma dell’Unione europea da cui hanno dovuto auto-escludersi i compagni di strada europea di Fratelli d’Italia e della Lega, i liberali europei hanno chiuso nel loro congresso a Vienna la porta in faccia all’ECR e la presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola ha sottolineato la «diversità» europea dell’ECR mentre a Bruxelles emerge sempre di più l’ostilità verso la mancata ratifica italiana del MES e un orientamento sulla modifica del Patto di Stabilità ben lontano dai desiderata del governo Meloni.

Infine, e nonostante una grottesca analisi provinciale tutta italiana, la visione dell’Unione fiscale secondo un modello federale di Mario Draghi, disegnata nel suo articolo su The Economist e prima nella conferenza ad Harvard, è tutto fuorché un assist al governo Meloni confermando un profilo europeo che sarebbe perfetto per la successione di Charles Michel alla presidenza del Consiglio europeo alla fine del 2024

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