Dopo il consiglio dei ministri di ieri, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni è volata a New York, dove prenderà parte alla 78esima assemblea Generale delle Nazioni Unite. Il tema migrazione per la premier è ormai in cima alla lista delle priorità e lo rilancerà durante il suo intervento del 20 settembre, in occasione del suo debutto al Palazzo di vetro, parlando del suo «piano italiano di sviluppo e resilienza per l’Africa». Risposte però non ne arriveranno. Almeno non subito. E Meloni questo lo sa.
Come scrive Repubblica, si tratta di un manifesto politico in sette punti per il continente, elaborato da ministero degli Esteri e Palazzo Chigi, che diventerà la piattaforma con cui i diplomatici italiani faranno pressione nelle varie agenzie delle Nazioni Unite per provare a dare traduzione pratica a questo indirizzo politico.
Il progetto prevede tra l’altro l’ipotesi di costruire centri temporanei garantiti dalle Nazioni Unite nei Paesi africani da cui partono i barconi sia per creare canali di migrazione regolare, ma anche per rimpatriare gli irregolari. Si parla anche della formazione dei giornalisti africani per sensibilizzare chi intende migrare sui rischi delle rotte illegali. E promette di fare del G7 pugliese del 2024 un summit centrato sull’Africa.
L’idea del piano appartiene al ministro degli Esteri Antonio Tajani, in collaborazione con Meloni. E prevede una tempistica lunga, di diversi anni, l’unica considerata plausibile. È un assoluto cambio di paradigma, oltre che un bagno di realtà, per la presidente del Consiglio che ha vinto le elezioni promettendo soluzioni immediate sull’immigrazione.
Il testo doveva essere pronto per la Conferenza Italia-Africa di novembre, ma dopo l’emergenza Lampedusa è stato anticipato in modo da essere pronto per l’assemblea generale dell’Onu in corso in questi giorni a New York.
Il primo dei sette punti del piano è la promessa di centrare il prossimo G7 sul continente africano. Il secondo riguarda i Paesi del Sahel, epicentro della destabilizzazione. Servono «azioni urgenti coerenti», l’Italia ci lavora con «gli altri ministri degli Esteri dell’Ue» e chiede il sostegno dell’Onu. Come? «Con una partnership operativa tra le forze armate e di polizia per la creazione di centri sotto egida Onu per le migrazioni» nei Paesi costieri. Si immagina dunque «l’allestimento di strutture provvisorie, in collaborazione con i Paesi interessati e d’intesa con questi ultimi, per ospitare temporaneamente quei migranti irregolari la cui posizione necessita di essere verificata». In seguito, chi è ospitato potrebbe essere accolto in Europa, se possiede i requisiti. L’alternativa è il «reinserimento degli stranieri rimpatriati per il tramite di accordi di riammissione stretti con i Paesi dove tali centri sono collocati». Contro le reti di trafficanti, invece, si chiedono «partnership operative tra le forze dell’ordine». Il problema resta quello di identificare gli interlocutori in questo susseguirsi di colpi di Stato.
Nel piano sono previste anche «nuove campagne di comunicazione» organizzate dall’Onu e la promozione di «momenti di incontro e formazione con qualificati giornalisti di Paesi africani». Senza risorse, però, nessuna stabilizzazione è possibile. Per questo l’Italia chiede all’Onu di favorire accordi per la crescita, «con particolare riguardo all’energia», rendendo l’Africa «superpotenza nelle rinnovabili», anche «attraverso partenariati pubblico-privato». L’altro capitolo riguarda le infrastrutture: in vista del G7, Roma si impegna a «concentrare sull’Africa il Partenariato per le Infrastrutture e gli Investimenti Globali (PGII)». Gli altri punti elencati sono in sintonia con l’agenda Onu: sicurezza alimentare e cambiamento climatico, motore di migrazioni. «La prossima presidenza degli Emirati della COP28 merita sostegno pieno», è scritto. L’Italia darà il 70% del Fondo per il clima – 3 miliardi in 5 anni – all’Africa.