La famiglia Mahdyk si è nascosta in un piccolo minivan in una zona non ancora occupata dai russi. È il 9 marzo del 2022 e sul parabrezza del minivan è stato messo un cartello con la scritta «bambini» in russo, sperando in un briciolo di umanità da parte degli invasori che nella loro propaganda millantano di denazificare il paese. Invece di ignorarli con compassione e passare avanti, il convoglio di soldati russi che li incrocia per strada sceglie crivellare di pallottole il minivan, uccidendo il piccolo Vladyslav di dodici anni e ferendo sua sorella Anna, di sedici. Questo tragico episodio è solo uno dei tanti raccolti dal Kyjiv Independent, che nel documentario “Bullet Holes” testimonia le tragiche e insensate morti di oltre cinquecento bambini ucraini a opera dell’esercito russo da quando è iniziata l’invasione, il 24 febbraio 2022.
Questi attacchi non sono casuali: molte vittime sono state colpite da missili o attacchi d’artiglieria russi specificamente diretti a civili. E altre dozzine sono stati uccisi con armi leggere, a distanza ravvicinata. Come nel caso di Kateryna Vinarska, di dieci anni. Durante un attacco russo a Kharkiv, i suoi genitori hanno cercato di metterla al sicuro dai bombardamenti, mandandola dai nonni. In una piccola e sgangherata auto rossa i nonni di Kateryna pensavano di non essere attaccati dai russi. Ma mentre attraversavano in auto il villaggio di Novyi Burluk, a circa sessanta chilometri a est di Kharkiv, l’auto è stata colpita dai proiettili, ferendo Kateryna. «Nonna, guarda, c’è un piccolo foro», ha detto la bambina sollevando in lacrime la maglietta, secondo quanto riporta la nonna Maria Kivshar. I due nonni portano subito la nipote all’ospedale più vicino, ma le truppe russe li hanno fermati, rifiutandoli di farli passare. Mentre i nonni imploravano di far passare l’auto, le truppe russe si sono trovate sotto il fuoco nemico e hanno sparato a loro volta, ma inspiegabilmente puntando contro l’auto civile. Uno dei proiettili ha colpito la ragazza, per la seconda volta nel giro di poche ore. Ed è morta poco dopo per le ferite riportate.
Mykhailo Ustianivsky, quindici anni, è un altro giovane vittima delle atrocità del Cremlino. Durante un’incursione in un villaggio di Havrylivka, nell’oblast meridionale di Kherson, lui e un amico sono stati presi di mira dai soldati russi mentre cercavano di scappare. Mykhailo è stato colpito e ucciso. Il corpo è stato ritrovato quattro giorni dopo in un obitorio a Nova Kakhovka, una città occupata a ottanta chilometri da Havrylivka, sull’altra sponda del fiume Dnipro.
Intervistando gli abitanti Oleh Baturyn, giornalista investigativo che ora documenta i crimini di guerra russi, ha scoperto che i soldati del Cremlino hanno giustificato l’omicidio del ragazzo per non far insorgere la popolazione, accusando il piccolo Mykhailo di aver fatto loro delle foto, come se giustificasse una brutalità del genere. Ma nel cellulare del ragazzo non sono stati trovati quegli scatti. In base alle testimonianze dei residenti Baturyn ha identificato in Suren Mkrtchian, tenente colonnello in un’unità basata nella parte occupata dall’Ucraina del Donetsk Oblast, il responsabile di questo orrore. Si tratta di un raro, rarissimo caso, in il comandante dell’unità russa è stato identificato per nome e grado.
Ma per le famiglie ucraine sarà impossibile ottenere una giustizia legale. I crimini dei russi non saranno riconosciuti e puniti, ma almen possono essere testimoniati per far capire le atrocità commesse in questa sciagurata invasione. Mentre lottano per superare la perdita, alcune famiglie come i Mahdyk cercano di trovare un senso alla tragedia. Hanno adottato un ragazzo, Oleksandr, realizzando il desiderio di Vladyslav di avere un fratellino. Mentre i genitori di Kateryna Vinarska a Kharkiv sognano di avere un altro figlio.
Secondo Oleksandra Matviichuk, a capo del Centro per le Libertà Civili e vincitrice del Premio Nobel per la Pace nel 2022, vede questi omicidi come parte di una politica di terrore deliberatamente attuata dall’esercito russo in Ucraina, riconducendola alla cultura militare russa: «Le truppe russe hanno commesso crimini orribili in Cecenia, Siria, Georgia, Mali, Libia e altrove. Non sono mai stati puniti. Credono di poter fare qualsiasi cosa. Questa impunità, questa lunga tradizione di impunità, è diventata parte della cultura russa», spiega al Kyjiv Independent