Bellezza stimolanteQuando l’arte diventa un asset strategico per investire nel lungo periodo

L’imprenditore Claudio Marenzi porta nei luoghi di lavoro delle opere d’arte coerenti con le sue aziende, senza alcun intento di marketing (quasi ideologicamente rinnegato)

L’ufficio di Claudio Marenzi a Lesa

Claudio Marenzi, classe ‘62, è presidente di Herno Group, brand di abbigliamento con un fatturato superiore ai duecento milioni di euro e che dà lavoro a circa millecinquecento persone in tutto il mondo. 

In poco più di quindici anni è riuscito a rendere internazionale e far crescere la storica azienda di famiglia, Herno, fondata dal padre nel 1948. Dal 2021 è a capo anche dell’azienda di abbigliamento sportivo Montura, rilevata in un momento di transizione generazionale. È stato anche presidente di Pitti Immagine e di Confindustria moda, creata nel 2017 sotto l’impulso dello stesso Marenzi per promuovere e tutelare il settore italiano dedicato alla moda, al tessile e agli accessori. 

Per il rilancio dell’azienda, vent’anni fa liquida diverse sue opere d’arte, perché il vero “figlio” della famiglia Marenzi, sin dai tempi del fondatore Giuseppe, è e rimane Herno, l’azienda che in ottant’anni ha reso “cool” e iconico il ripararsi dall’acqua. Claudio Marenzi è la sua azienda: ci lavora da quando ha quindici anni, sa tutto a livello tecnico e trascorre negli stabilimenti di Lesa e Vicenza la maggior parte del tempo. 

Claudio Marenzi

Herno e Montura sono letteralmente le sue seconde case e la sua famiglia. Non stupisce perciò che l’imprenditore sia circondato da storici collaboratori e dalle sue opere, collocate in tutti gli spazi e nel suo ufficio che ufficio non è, essendo un open space separato dal resto dell’azienda soltanto attraverso un’installazione di quadri.

Da sempre collezionista, in occasione del rilancio del 2005 Marenzi decide di far entrare fisicamente la sua collezione in azienda, senza fronzoli né proclami, ma in un modo decisivo, risoluto e pervasivo. Le opere d’arte cominciano così ad animare gli edifici produttivi di Lesa (lago Maggiore) senza alcun intento di marketing, quasi ideologicamente rinnegato. L’obiettivo era e rimane dare forma a una profonda visione olivettiana dell’azienda, per cui è importante far lavorare nel bello, circondati di cultura, chi deve creare bellezza. All’interno del nostro percorso di scouting dell’«Arte in azienda» abbiamo deciso di conoscere meglio la collezione d’arte di Marenzi e i suoi rapporti con le sue aziende, Herno e Montura.

Da dove ha origine il suo amore per l’arte? Quando ha acquistato la sua prima opera d’arte?
Mio padre aveva uno spiccato gusto estetico, che manifestava in ogni aspetto della sua vita: sempre elegantissimo, era una persona che si circondava di cose belle, ma non amava l’arte contemporanea. Io invece sono sempre stato un grande appassionato. Giovanissimo, a 16 anni, con i primi soldi guadagnati lavorando in azienda, mi comprai un quadro di un pittore locale, Nicola Pankoff, che appesi sulla porta all’interno della mia camera e che conservo tutt’ora. Poi non mi sono più fermato e le persone che hanno condiviso e che condividono con me la mia vita personale e lavorativa sanno che l’arte è una compagna di viaggio. Penso addirittura che la collezione nella sua complessità e unicità abbia quasi una propria identità e personalità, per cui nutro un profondo rispetto e che negli anni mi ha anche portato a scegliere un’opera piuttosto di un’altra. 

Quindi la collezione come si è evoluta negli anni? Come decideva e/o decide ancora oggi di acquisire un’opera?
Tutto nella mia vita deve avere uno scopo verso cui tendere, compresa l’arte. Il gusto si è affinato, si continua a perfezionare ed estendere al design e a ogni espressione artistica, ma sono rimasto sempre coerente a me stesso e a quel che sono. Con gli anni la bulimia del collezionista è stata mitigata e nutrita dal pragmatismo e dalla responsabilità imprenditoriale: l’arte è per me anche un modo di ragionare e di investire nel lungo periodo. Perciò oggi diffido di ciò che è troppo commerciale. Ho imparato che l’arte non è questione di colpi di fulmine: amo la sfida di entrare in un lavoro che abbia qualcosa da dire, ovvero il pensiero e la pratica artistica devono sempre coesistere in un’opera d’arte, che non deve essere mai semplice e mero oggetto di consumo estetico. Amo perciò quelle espressioni artistiche in cui rintraccio un chiaro “sapere” e contenuto, un impegno sociale, anche lontano dal mio sentito e vissuto personale.

Come mai e quando ha fatto entrare l’arte in azienda?
Quando l’azienda è stata mia. Ho trascorso i primi vent’anni lavorativi (1985-2005) in un’azienda che era della mia famiglia. Mio padre ha poi avuto il coraggio di lasciarmi provare la mia via e di trasformare un’azienda che lavorava molto come terzista in un brand fashion internazionale. Mi son messo in gioco, ho venduto anche diverse opere pur di rendere possibile questa mia visione di cambiamento e dimostrare alla mia famiglia che avevo ragione. In modo coerente a questa evoluzione ho ritenuto che l’arte potesse essere uno strumento utile, persino necessario, a stimolare e smuovere qualcosa nelle persone che lavorano con e per me. Dal 2005 in azienda ho quindi portato solo opere che avessero a che fare con l’azienda.

Dal momento che la sua collezione è spesso caratterizzata da opere impegnate, si pone mai la questione di spiegare le opere che inserisce negli spazi dei suoi stabilimenti?
Raramente, perché non credo in un approccio paternalistico. Io propongo di vivere in mezzo a opere d’arte, ma non richiedo che vengano apprezzate o amate; lascio a ciascuna persona che vive i nostri spazi la possibilità di essere curiosi: l’arte non è un dovere, ma una possibilità. Solo alcune volte, come nel caso di un lavoro molto forte di Andrea Bowers, in cui si vede una donna impugnare un fucile, ho sentito di dover condividere la storia di femminismo e solidarietà di genere propria dell’opera.

Un’opera di Andrea Bowers

Come evolve la collezione in azienda? Ha formato una vera e propria collezione aziendale?
Io sono le mie aziende e non potrei non avere delle opere d’arte in questa mia seconda casa. Ciò premesso, se è vero che la maggior parte delle opere provengono dalla mia collezione personale, è capitato anche che alcune opere siano state realizzate appositamente per l’azienda. È il caso della grande opera dedicata al fiume Erno che Lee Jaehyo ha realizzato appositamente per l’ingresso dello stabilimento. Nella vita poi tutto torna e così, acquisita Montura, azienda che da sempre investe in land-art, ho scoperto che anche nei loro stabilimenti di Vicenza si trovava uno scatto dello stesso artista. 

Un’opera di Lee Jaehyo

Negli ultimi anni divide il suo impegno manageriale tra Piemonte e Veneto per seguire Herno e Montura. Come si svilupperà la sua collezione in azienda in due sedi così lontane anche fisicamente?
In modo coerente: porterò in azienda opere che abbiano qualcosa da dire e raccontare. Se per Herno è fondamentale il saper fare e la componente femminile (l’ottanta per cento della forza lavoro è costituita da donne, ndr), Montura è sinonimo di natura e montagna, anche in ambito culturale e artistico, già da prima che arrivassi io. Basti pensare ad Arte Sella e ai concerti in alta quota. In fondo credo che siano aziende tra di loro simili e che mi assomigliano in tutto. L’arte continuerà a raccontarci.

Eppure non ha (e non avete) mai veramente puntato sull’arte come leva di marketing.
Vero, forse avrei potuto, ma nutro un grande rispetto per l’arte e mi sembrava dissacrante piegarla a fini commerciali. Facciamo tante cose come azienda per il territorio, ma perché vantarsene? L’azienda vive e si sviluppa in un contesto per cui sviluppa una vera forma di responsabilità. Parlo non solo della fondamentale responsabilità nei confronti dei propri clienti, ma anche nel rispetto per il territorio, la natura e soprattutto delle persone che lavorano in e per l’azienda. L’arte rientra in questa visione di azienda che da vent’anni porto avanti.

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter