«Per l’Europa è il momento di riformarsi e ripartire dopo alcuni anni molto difficili. Ma ci sono anche elezioni molto difficili: ci aspettiamo obiettivi concreti, l’attuazione di quanto promesso, e ovviamente proseguire con il sostegno continuo all’Ucraina». Sono parole della presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola. Maltese, di squadra nella casa dei popolari europei, Metsola ha parlato con alcune testate del continente – per l’Italia c’era il Corriere della Sera – a pochi giorni dal discorso sullo Stato dell’Unione che la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen pronuncerà la prossima settimana a Strasburgo davanti alla plenaria. L’ultimo di questa legislatura.
Le elezioni europee di giugno rischiano di essere uno spartiacque significativo per l’Unione europea. E di sicuro non è più tempo di prendere sottogamba partiti euroscettici e sovranisti. «L’errore del passato è stato far crescere l’euroscetticismo perché i partiti di centro davano per scontati i loro elettori. Ma sono più preoccupata che le persone non votino piuttosto che scelgano gli estremi».
Di sicuro la storica collaborazione tra popolari e socialdemocratici, che ha retto l’impalcatura europea per anni, è segnata da un cambiamento: una transizione lenta e lunghissima, che si sente da almeno un decennio, ma sintomo che qualcosa sta mutando. E da rappresentante del Partito popolare europeo, Metsola sa esattamente cosa può significare questo, visto l’emergere di partiti populisti, sovranisti, euroscettici.
«Le tendenze di voto nazionali – dice la presidente del Parlamento europeo – dimostrano che se noi diciamo che apparteniamo al centro costruttivo, non rispondiamo ai problemi reali. Se ci sarà una linea di faglia sarà su questo: se riusciremo a creare un Parlamento efficiente con un processo decisionale efficiente. Dobbiamo creare una rete di sicurezza per l’industria, non abbandonare le ambizioni climatiche e mantenere l’uomo al centro delle nostre decisioni, e non vedo nessuna di queste tre cose escludersi a vicenda. Non lo vedono nemmeno i gruppi pro-Europa».
Metsola vorrebbe escludere quindi ipotesi di alleanze con alcune famiglie politiche, ad esempio con il gruppo dei Conservatori e dei Riformisti Europei di cui è presidente Giorgia Meloni. «Ci sono differenze distintive tra i partiti politici del Ppe e dell’Ecr. E queste differenze non cambieranno. Se guardo a ciò che è stato votato e a come, sull’Ucraina l’Ecr è stato completamente unito al resto. Ma è diverso, ovviamente, per quanto riguarda lo Stato di diritto e molto diverso per le questioni sociali, su cui c’è una grande maggioranza dal centrodestra alla sinistra, e questo non cambierà».
Dopotutto, come ricorda ancora Metsola, da almeno dieci anni si dice che la cooperazione di lunga data tra Ppe e S&D è morta, ma negli anni l’Unione europea ha ottenuto i risultati migliori proprio muovendo dalle grandi alleanze che partono dal centro, non dagli estremi: in fondo, è grazie alle ampie maggioranze che l’Eurocamera è riuscita a gestire in poco più di un anno il Dsa e il Dma (le nuove norme per i Big Tech), i dossier su intelligenza artificiale, migrazione, clima, la tassa sul carbonio alla frontiera, il fondo sociale per il clima.