Roccaverano cerca stagionatori. La piccola e celebre Dop piemontese, unica in Italia per il suo metodo di lavorazione, non ha più stagionatori sul territorio e cerca professionisti disposti a spostarsi per portare a maturazione le delicate forme di robiola che, per utilizzare il marchio, possono compiere questo percorso soltanto entro i confini della denominazione. «In cambio offriamo il nostro know-how e la nostra disponibilità», dice il presidente del Consorzio del Roccaverano Dop, Fabrizio Garbarino, e non è cosa da poco per un formaggio con una storia lunga quindici secoli, prodotto con metodi artigianali da sole quindici aziende e con un disciplinare rigidissimo.
Di Roccaverano ce n’è uno
Le origini sembra risalgano alla popolazione dei Celti che si era stabilita in Liguria e che qui produceva un formaggio molto simile a quello odierno. L’etimologia del nome invece è latina, perché è con i Romani che questo formaggio inizia a essere chiamato rubeola, dal termine ruber, con cui in latino si indicava il colore rossastro assunto dalla crosta delle forme al termine della stagionatura.
Nel tempo questo formaggio a pasta morbida è sempre rimasto un prodotto di uso quotidiano, attraversando i secoli fino alla seconda metà del Novecento, quando lo spopolamento delle aree montane nel dopoguerra ha cambiato le dinamiche sociali della zona. «Oggi i produttori sono quindici, ognuno ha il proprio caseificio e trasforma quasi esclusivamente il proprio latte. La produzione totale si aggira intorno ai 550.000 pezzi l’anno, con diametro tra i dieci e i tredici centimetri», dice il presidente del Consorzio di tutela, fondato nel 1988. Tanto per darci un illustre termine di confronto, il Parmigiano Reggiano produce più di quattro milioni di forme l’anno.
«Abbiamo l’unico formaggio Dop a coagulazione lattica d’Italia – spiega Garbarino – e ci siamo dati regole molto ferree: obbligo di bestiame al pascolo da marzo a novembre, divieto di organismi geneticamente modificati, alimentazione per almeno l’ottanta per cento proveniente dal territorio. Il latte crudo non viene mai inoculato con fermenti esterni, i lieviti devono essere solo autoctoni», aggiunge.
Il batterio responsabile della formazione della pelle del formaggio, ad esempio, si chiama geotricum ed è presente solo nella zona della Dop, che comprende dieci comuni della provincia di Asti e nove comuni della provincia di Alessandria (recentemente la denominazione è anche entrata a far parte dell’associazione Alte Terre Dop).
Le capre inoltre possono essere soltanto di due razze, l’autoctona Roccaverano e la Camosciata Alpina. «Da marzo di quest’anno abbiamo ulteriormente irrigidito il disciplinare, eliminando la possibilità di utilizzare latte vaccino e di pecora. Adesso si può impiegare soltanto latte crudo intero di capra e anche il nome della denominazione è stato cambiato per dare maggior risalto al territorio, da Robiola di Roccaverano a Roccaverano Dop», dice Garbarino.
In cerca di affinatori
Dopo il processo di formatura del formaggio, il disciplinare prevede una maturazione naturale di almeno tre giorni dal momento della messa negli stampi. A partire dal quarto giorno è consentita la vendita e dal decimo il Roccaverano Dop è considerato “stagionato”. Il grado di maturazione con cui è più comune consumare le robiole infatti sta intorno all’una-due settimane, ma il prodotto, se accompagnato con attenzione, può essere affinato più a lungo. Appena due mesi possono bastare perché una robiola riduca il proprio volume, concentri e intensifichi i sapori, regalando esperienze gustative irripetibili. «Come consorzio siamo consapevoli che si tratti di una versione per intenditori o da impiegare in piccole dosi per accompagnare alcuni piatti, ma ci piacerebbe farla conoscere maggiormente», dice il presidente.
Di professionisti specializzati nella stagionatura, però, sul territorio non ce ne sono da un po’ di tempo e le forme vengono affinate direttamente dai produttori. «Siamo tutti stagionatori e possiamo tranquillamente proseguire così, ma avere delle figure che si occupino dell’affinamento in maniera specifica, rispettando il territorio e il nostro lavoro, ci darebbe la possibilità di arricchire la filiera in termini di competenze e di possibilità di lavorazione» afferma Garbarino. «Come Consorzio possiamo mettere a disposizione il nostro know-how e trovare delle formule di collaborazione per promuovere il prodotto. L’obiettivo sarebbe rendere gli stagionatori parte integrante del Consorzio come soci», aggiunge.
In zona ci sarebbero anche un paio di strutture predisposte per l’affinamento, ma al momento inutilizzate e l’ente si sta muovendo per capire come farle tornare presto in funzione. La presenza di professionisti darebbe maggior struttura alla piccola ma determinata Dop piemontese, creando occasioni di sviluppo sia in termini commerciali che di prodotto, non solo per quanto riguarda il formaggio nella sua versione più conosciuta, ma anche nelle sue maturazioni più estreme. Largo allora: il Roccaverano ha bisogno di voi.