Da quando la Russia è uscita dall’iniziativa che fino a luglio ha consentito all’Ucraina di esportare derrate alimentari attraverso la rotta del Mar Nero la situazione non fa che peggiorare, con una passività internazionale difficile da spiegare, soprattutto dopo il fallimento dei tentativi di Recep Tayyip Erdogan di convincere Vladimir Putin a ripristinare l’accordo, che dopo il bilaterale a Sochi ha fatto sfumare la possibilità di risolvere questa crisi nella crisi. Negli ultimi due mesi Mosca ha lanciato ondate di attacchi di droni sui porti e i silo ucraini nel delta del Danubio e minacciato la navigazione nel golfo di Odessa, con l’obiettivo di paralizzare le infrastrutture economiche ucraine e ridurre drasticamente la possibilità di Kyjiv di usare le rotte navali alternative per continuare esportare i suoi raccolti.
Secondo l’intelligence britannica dal 17 luglio a oggi la Russia ha distrutto circa ventisei infrastrutture portuali e duecentottantamila tonnellate di grano immagazzinato nei siti di stoccaggio ucraini, una quantità sufficiente a sfamare più di un milione di persone per un anno, e superiore al totale che Putin ha promesso di donare ai paesi africani per compensarli dell’uscita dall’accordo sul grano e la conseguente riduzione di offerta sul mercato internazionale.
L’intelligence britannica accusa Mosca di aver attaccato con uno dei suoi attacchi missilistici – nello specifico quello del 24 agosto – anche una nave commerciale battente bandiera liberiana ormeggiata nel porto di Odessa, che si è salvata solo grazie al fuoco di contraerea di Kyjiv. Due settimane prima, la Russia aveva aperto il fuoco contro una nave diretta verso l’Ucraina che si trovava ancora nelle acque internazionali, mentre gli Stati Uniti hanno detto che le navi russe hanno posizionato mine marine attorno ai porti ucraini.
Prima del G20 di Nuova Delhi il premier britannico Rishi Sunak ha illustrato in gli sforzi del Regno Unito nella regione, spiegando che l’aviazione britannica «sta sorvolando la zona per dissuadere la Russia dall’effettuare attacchi illegali contro navi civili che trasportano grano». Un pattugliamento che però non sta dando i risultati di deterrenza desiderati da Sunak.
Con i suoi attacchi nel delta del Danubio la Russia sta colpendo obiettivi civili a poche centinaia di metri dal confine con la Romania, paese membro della Nato che ha visto cadere rottami di drone russo nel suo territorio trovandosi nella situazione di minimizzare l’accaduto per non scaldare la tensione.
Mosca sta provocando anche la Bulgaria, bloccando parzialmente la sua Zona economica esclusiva (Zee) nel Mar Nero con il pretesto di «esercitazioni militari nell’area». Sofia è molto irritata, e sta discutendo con gli alleati della Nato della possibilità di affrontare il blocco «in modo indipendente o con il coordinamento degli alleati», ha dichiarato mercoledì a Euractiv il ministro della Difesa bulgaro Todor Tagarev.
In base alle convenzioni delle Nazioni Unite, le Zee sono un’area del mare adiacente le acque territoriali in cui uno stato costiero ha diritti sovrani e giurisdizione per la gestione delle risorse naturali e altre questioni. La libertà di navigazione è garantita a tutte le navi, indipendentemente dalla bandiera di appartenenza, e la Russia sta stressando le regole del diritto internazionale per far sentire la forza della sua minaccia in tutta la regione.
«Al momento non c’è alcun rischio o minaccia immediata di un attacco contro navi mercantili», ha detto Tagarav a Euractiv, aggiungendo che «un attacco nel mare territoriale può essere visto come un attacco contro la Bulgaria e la Nato nel suo complesso», ricordando che le marine militari di Bulgaria, Romania e Turchia hanno aumentato la loro vigilanza per garantire la sicurezza delle navi mercantili che transitano nel Mar Nero.
Tuttavia, la reazione internazionale di fronte all’escalation della Russia nel Mar Nero non sta incontrando un’adeguata risposta, né la condanna che ci si aspetterebbe nei confronti di un paese che non solo ha invaso e continua ad aggredire un paese che non rappresentava nessuna minaccia, ma che nel portare avanti la sua guerra mette a rischio la sicurezza alimentare globale e la libertà di navigazione in acque internazionali.
La tolleranza nei confronti di queste azioni è il motivo per cui Putin si può permettere il lusso respingere le pressioni di Erdogan per ripristinare l’iniziativa l’accordo del grano, una tolleranza che sta dando al Cremlino luce verde per ulteriori operazioni di destabilizzazione, avvicinandosi pericolosamente al confine della Nato. Prima dell’incontro tra Erdogan e Putin era ancora possibile aspettare un colpo di teatro del leader turco, ma dopo il bilaterale tra Putin e il leader nordcoreano Kim Jong-un dovrebbe essere chiaro che ormai dalla Russia ci si può aspettare di tutto.
Finora l’unica risposta concreta all’aggressività russa nel Mar Nero è arrivata dall’Ucraina, che con gli attacchi alle istallazioni militari russe nella Crimea occupata ha colpito l’avamposto strategico da cui partono gli attacchi ai porti ucraini e la minaccia alle navi cargo civili. Ma per quanto tempo ancora i paesi occidentali – e il resto del mondo – lasceranno al coraggio dell’Ucraina tutto il peso della resistenza alla violenza dell’imperialismo russo?