Dal 2015, su trenta miliardi di chiusure utilizzate in tutto il mondo, la richiesta di quelle a vite è cresciuta del nove per cento, a discapito di quelle in sughero (che per il momento rimangono comunque quelle più utilizzate). Ma le proiezioni vedono questa percentuale destinata a crescere nel prossimo futuro, almeno secondo i dati presentati dall’azienda Guala Closures Group che lo scorso luglio, con l’evento “Svitando e Svettando”, ha scelto lo Skyway Monte Bianco per raccontare un prodotto che, dagli anni Cinquanta a oggi, li ha resi leader mondiali nella sua produzione.
I tappi in alluminio (“non-refillable”) sono infatti una soluzione che si presta a innumerevoli personalizzazioni – per andare incontro alle esigenze dei clienti che scelgono di utilizzarli – ma che possiede anche una serie di qualità importanti in termini di efficienza, tecnologia, sostenibilità e conservazione delle caratteristiche organolettiche di ciò che è contenuto nelle bottiglie. Si tratti di vino, olio, spirits o altre bevande.
Grazie a numerosi studi e sperimentazioni che dalla fine degli anni Novanta sono state avviati, il confronto tra le le prestazioni delle varie tipologie di tappo e i loro effetti sul vino e sui potenziali difetti derivati dalle chiusure utilizzate è sempre più chiaro.
Ad aprire la strada è stato l’Australian Wine Research Institute (Awri), mettendo alla prova chiusure in sughero naturale, tecnico, sintetico e tappi a vite in quella che avrebbe dovuto essere una sperimentazione decennale ma che, dopo appena tre anni, è stata interrotta a causa dei risultati lampanti. Questi studi e queste sperimentazioni avevano già dato un forte contributo anche nel rinnovare le chiusure allora disponibili: fu infatti dimostrata una correlazione fra la quantità di anidride solforosa presente nel vino – ritenuta indicatore chiave dell’efficacia della chiusura – correlata alla sua freschezza e all’assenza di imbrunimento. La migliore prestazione in tal senso fu proprio quella del tappo a vite, grazie a un basso Oxygen Transmission Rate (Otr), comunque variabile a seconda dei modelli scelti, e alla costanza di qualità produttiva.
In sintesi, quindi, le chiusure a vite hanno una grande abilità nel preservare, anche a lungo termine, tutte le qualità organolettiche di ciò che beviamo. Una conferma importante, quindi, per l’attività di un’azienda italiana, nata nel 1954 ad Alessandria da un’intuizione di Angelo Guala, oggi in grado di mettere sul mercato una vastissima gamma di modelli di chiusure (più di trecento) prodotti in oltre trenta stabilimenti sparsi in tutto il mondo che danno lavoro a cinquemila addetti, ai quali si affiancano anche sette centri di Research & Developement in cui operano una cinquantina di ricercatori.
Nessun aspetto è lasciato al caso, dall’impatto della filiera produttiva sul pianeta – con l’obiettivo entro il 2030 di ridurre sprechi e consumo di acqua, azzerare emissioni di gas serra, implementare salute, sicurezza e inclusione dei dipendenti e promuovere valori etici in ogni settore aziendale – al continuo supporto nei confronti dei clienti, che sono seguiti sia tecnicamente che dal punto di vista estetico, tema sensibile per i produttori.
Ogni tappo viene disegnato con l’obiettivo di raccontare la storia e l’identità del prodotto che racchiude, attraverso un design sartoriale in grado di adattarsi alle richieste del mercato. Ma anche la tecnologia digitale sta facendo il suo ingresso in questo settore, e l’uso di tecniche decorative avanzate consente persino la creazione di tappi “connessi”, cioè dotati di QRcode o Nfc. Si avvia così una relazione ancora più diretta con il consumatore, fornendogli ad esempio la certificazione di autenticità della bottiglia oppure contenuti speciali per scoprire qualcosa di più su ciò che stanno per bere.
Questo perché «un tappo è molto più di una semplice chiusura. È padrone del tempo che rende un vino speciale».