Manuale per consumatori consapevoli I sistemi di tappatura del vino, spiegati da un enologo

Proviamo a spiegare tutti i sistemi che si possono usare per consentire al nostro nettare preferito di arrivare integro fino a noi. Se pensate sia un dettaglio, non avete mai studiato bene pregi e difetti di ogni tipologia di tappo

Quanto sottovalutiamo i dettagli? Spesso, moltissimo. Come nel caso delle bottiglie di vino, per le quali diamo estrema importanza al contenuto (e ci mancherebbe), vetro e forma, ed etichetta dimenticando la parte funzionale che riesce a far arrivare dalla cantina a noi il vino nelle sue condizioni perfette, o almeno quelle in cui l’enologo ha deciso che quel vino dovesse avere per noi. “Capire” il tappo e riuscire a controllarne gli effetti è dunque uno dei passaggi fondamentali per chi fa vino e la scelta è ormai vastissima anche in questo ambito.

Ma iniziamo dalla funzione: il tappo deve aderire perfettamente al vetro della bottiglia, per evitare di far fuoriuscire il liquido (colature), ma ben più importante, evitare l’eccessiva entrata di ossigeno che potrebbe causare la possibile perdita di qualità del vino causando i classici difetti organolettici dovuti all’ossidazione. Scoprire se “sa di tappo” è la principale ragione per cui al ristorante ci fanno assaggiare il vino prima di servirlo: quel gesto non serve infatti solo per scoprire se il vino è buono e ci possa piacere oppure no, ma innanzitutto serve per capire se possa avere difetti dovuti a cessioni del tappo, fra cui la più evidente è il TCA (tricloroanisolo), quello che comunemente chiamiamo “gusto di tappo”. Al contrario di quello che tutti siamo portati a pensare, non è questo il difetto che gli enologi temono di più: il TCA è quello più macroscopico, quello che normalmente tutti i clienti riconoscono. Ma ci possono essere anche altri difetti dovuti alla tappatura con sughero naturale: come la presenza di altri anisoli, come la cessione di tannini che rendono amaro e/o secco il vino, la cessione di geosmina che dà sentori terrosi, la cessione di pirazine che danno sentori verdi al vino oppure la combinazione o la concentrazione di questi composti, che sono difficilmente riconoscibili dal cliente come un difetto dato dal tappo ma vengono associati alla qualità del vino.

Per ovviare a questo, aziende e professionisti hanno iniziato a studiare tappature più costanti e standardizzabili del sughero, materiale naturale che per sua natura non riesce a essere affidabile sempre e al 100%.

La prima domanda da porsi, quindi, è: in materiale naturale, in materiali metallici, plastici o loro compositi?

Con i materiali plastici
Per cercare di dare un’alternativa al classico sughero, infatti, i primi surrogati che mantenevano la manualità e l’aspetto visivo del tappo tradizionale sono stati i tappi in materiali plastici, che hanno degli indubbi vantaggi in termini economici, produttivi e di stabilità qualitativa, ma non sono esenti da interazioni e/o cessioni al vino, nel passato hanno anche creato problemi di tenuta, e soprattutto hanno un possibile forte impatto ambientale se non riciclati correttamente. Quelli ricavati quindi dai materiali plastici sono stati eliminati da moltissime cantine per motivi di sostenibilità, ma esistono anche tappi in materiale plastico prodotti partendo da materie prime naturali. Ricordiamoci sempre, però, che il polimero di arrivo è pur sempre plastica ed è una plastica non indispensabile, che quindi le cantine più sensibili al tema decidono di non utilizzare.

Con il vetro
Se scegliamo materiali naturali, il tappo in vetro con guarnizione in silicone, tenuto in sede da una capsula, è un’alternativa possibile, molto usata per i superalcolici. Ha degli svantaggi invece sul vino: intanto perché servono tappatori dedicati e poi perché questa tipologia di tappo non è pensata per l’invecchiamento a lungo termine. Inoltre, la guarnizione può deteriorarsi nel tempo e far passare più aria, che è proprio quello che non vogliamo che succeda.

Con la vite
Il tappo a vite, scelta in Italia molto difficile perché da noi tradizionalmente associato a vini di scarsa qualità, dal punto di vista tecnico è incredibile. Per gli enologi è una scelta molto lungimirante, perché potenzialmente “allunga” la vita al vino, facendo passare pochissimo ossigeno e, nelle ultime evoluzioni, anche delle quantità di ossigeno misurabili e costanti. Formalmente, è una capsula in alluminio con all’interno una membrana in materiale leggermente poroso, filmato con diversi materiali a seconda della scelta tecnica che si desidera ottenere.

Nel resto del mondo si trovano vini di grandissimo livello tappati con questa tipologia di chiusura. La scelta di questo tipo di chiusura negli altri Paesi dipende molto da dove queste popolazioni hanno imparato a vendere o a bere vino: la sommellerie giapponese ha appreso il vino dal vecchio mondo, quindi ama tendenzialmente il tappo in sughero. Il mercato tedesco è da anni un importante promotore del tappo a vite e i mercati anglosassoni sono molto aperti al suo utilizzo: anzi, alcuni importatori vogliono il tappo a vite e lo inseriscono come richiesta specifica nei contratti. A volte, infatti, costa di più rimandare in cantina le bottiglie con difettosità di tappo piuttosto che scegliere direttamente una soluzione come il tappo a vite.

Ma quali problemi può portare questa scelta? Il tappo in sughero può perdonare delle “sviste” produttive o delle scelte tecniche scorrette, un utilizzo della solforosa errato in fase di imbottigliamento o delle piccole riduzioni latenti, affidandosi al fatto che faccia passare sicuramente una piccola quantità di ossigeno. Mentre il tappo a vite ha una chiusura tendenzialmente più ermetica, che tende a evidenziare determinate problematiche tecniche, soprattutto le riduzioni.

A livello produttivo, questa scelta ha degli effetti: l’enologo deve pensare il vino, le fermentazioni e fin anche i trattamenti in campagna in base al tappo che sceglierà. Perché con il tappo a vite l’OTR (Oxigen Transfer Rate), cioè la capacità di passaggio di ossigeno attraverso il tappo, è bassissima, fino ad essere quasi nulla nei casi più estremi. Se è ragionato, è eccezionale, perché la bottiglia arriva a noi esattamente come è stata “pensata” in cantina. Dal punto di vista salutistico, permette di utilizzare meno solforosa e il vino è comunque protetto dal punto di vista ossidativo e quindi resiste meglio al passare del tempo.

L’unico problema che questi tappi possono avere è dato da un difetto meccanico durante la tappatura oppure dal fatto che una bottiglia possa prendere quello che si definisce un “colpo di testa”, proprio nel punto di contatto fra la guarnizione e la bocca della bottiglia, in questo caso si forma un canale in cui la tenuta della guarnizione non è più garantita e che quindi porta all’ossigenazione eccessiva del vino. Ma a parte questo inconveniente, è un tappo che offre grandissime performance.

Con la microgranina
Una valida alternativa contemporanea sono i tappi in microgranina di sughero. I produttori di questi tappi garantiscono che questo processo dia vita a un tappo potenzialmente non contaminato, asettico, sostenibile ed economico. Inoltre, per la produzione di questi tappi si riciclano degli scarti di produzione dei tappi naturali e/o delle partite di sughero che a causa dei contaminanti presenti non possono essere utilizzati direttamente per la produzione di tappi naturali. La microgranina di sughero utilizzata per produrre questi tappi potrebbe essere contaminata in origine da vari composti e per purificarla la si può trattare generalmente in due modi. Con pressione, temperatura e/o vapore, questi processi però non garantiscono al 100% l’eliminazione dei possibili difetti. La metodologia più sicura allo stato attuale è quella dello strippaggio con CO2 supercritica, uno stato dell’anidride carbonica alimentare intermedio tra liquido e gas che ha grande capacità solventi. Il rovescio della medaglia è che dopo il processo di pulizia, il materiale avrà purtroppo perso gran parte delle sue caratteristiche di elasticità che ci permetterebbero di garantire la perfetta adesione del tappo al collo della bottiglia. Si aggiungono quindi alla microgranina dei collanti poliuretanici o altri materiali tecnologici che hanno la caratteristica di restituire elasticità al tappo, oppure, ultimamente, colle di origine vegetale (polioli) provenienti in alcuni casi da olio di vinaccioli, completamente biodegradabili. Il vantaggio di questi tappi? Per l’enologo, in assenza di cessioni e difetti organolettici dovuti al sughero, la possibilità di scegliere tra diversi livelli di permeabilità all’ossigeno proposte e garantire così un’evoluzione organolettica del vino più regolare e costante nel tempo. Inoltre, la costanza qualitativa e la standardizzazione di questi tappi è una sicurezza in più per la conservazione del vino. Il difetto principale è invece la potenziale cessione di gusti anomali in fase di affinamento e la tenuta nel tempo in caso di affinamenti molto molto lunghi. Essendo una forma di tappatura relativamente giovane non abbiamo uno storico sufficiente per sapere come si comporteranno queste chiusure con affinamenti di lungo o lunghissimo periodo. 

Con il sughero naturale
Arriviamo alla tappatura più classica, il tappo monopezzo naturale “perfetto”. È sempre la soluzione migliore, ma quanti ce ne sono di davvero perfetti? Uno su cento? Uno su mille? E purtroppo, come sempre quando usiamo materiali naturali, non è un problema di costo. Il mondo del sughero è arrivato in ritardo rispetto alle richieste del mercato, e la ricerca per 30, 40 anni si è bloccata oppure è stata molto lenta. Da qualche anno alcune aziende produttrici hanno capito che il mercato stava optando per altre possibilità e hanno finalmente fatto un passo avanti in termini di qualità. Basti pensare che negli anni ‘90 il tappo naturale copriva il 90% del mercato globale mentre ora copre circa il 10%. Purtroppo, per avere sughero perfetto serve molto tempo e serve grande efficienza in tutte le fasi produttive: servono dagli otto ai dodici anni per la decortica (estrazione della corteccia dalle querce da sughero), e se si fanno errori in pianta, o trattamenti sbagliati, e se la gestione del terreno nei sughereti non è corretta, il problema deI difetti organolettici può aumentare esponenzialmente.

Il fascino di questo tappo è comunque indubbio, anche perché non è misurabile, non è sempre identico, è un po’ come il vino. Quanto ossigeno passa con un tappo naturale? Nessuno lo sa con precisione perché varia molto da un tappo all’altro. È prodotto con la corteccia di un albero, chi puó sapere ogni singola fase della sua crescita? Si fanno analisi di densità, di peso, ma non c’è mai la matematica certezza, e anche se alcune aziende stanno pensando di fare analisi tappo/tappo attraverso tomografia, la sua reale efficienza non è praticamente misurabile. Misurabilissimo invece è il prezzo, che per i tappi di altissima gamma può arrivare anche a 1,20€ oppure superare 2€ al pezzo. Un costo che necessariamente pesa sulla cantina e anche sul consumatore. Ci pensate mai ai costi dei singoli componenti di una bottiglia quando acquistate un vino? 

Inoltre, oltre ai sopraelencati possibili difetti “naturali”, per sbiancare e sanificare il sughero naturale e renderlo più accattivante alla vista vengono utilizzati dei forti ossidanti detti perossidi, che in caso di errori nella fabbricazione possono rimanere sulla superficie del tappo e potrebbero quindi migrare nel vino, fungendo da ossidanti ancora di più dell’ossigeno stesso. 

Alla luce di tutte queste possibilità, la scelta strategica di ogni enologo e di ogni cantina è personale e identitaria, e dice molto sulla propria idea di interpretare il vino e la sua immagine.

La “guerra dei tappi”, insomma, non è ancora finita. 

 

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