Qualche giorno fa Taste Atlas, guida online che si autodefinisce atlante alimentare mondiale, ha stilato la classifica con i migliori piatti di pasta al mondo. In cima alla lista ci sono le pappardelle al ragù di cinghiale, la carbonara e le tagliatelle alle bolognese. Lasciando stare l’autorevolezza di questa classifica, che spesso lascia a desiderare (nella top fifty inserisce anche le tradizionalissime lasagne alla parmigiana) e su cui non vogliamo addentrarci, almeno per questa volta, la notizia ci dà l’opportunità di sottolineare un fatto, a nostro avviso, fondamentale. Quando si parla di pasta e di preferenze, si fa riferimento troppo spesso solo al suo condimento, tralasciando un elemento che invece dovrebbe essere protagonista: la pasta, per l’appunto.
Viviamo in un Paese in cui la pasta ha un forte peso, nelle tradizioni e nell’alimentazione, eppure anche noi, italiani orgogliosi, a volte (quasi sempre) vediamo la pasta semplicemente come un “porta sugo”, se vogliamo coniarne una definizione descrittiva.
Forse, soprattutto in vista di una nuova consapevolezza alimentare, dovremmo smettere di pensarla così e considerare la pasta per quello che è: un ingrediente fondamentale, la cui scelta errata o superficiale può modificare il gusto di un’intera ricetta.
In commercio, infatti, esistono una quantità indefinite di tipologie di pasta, differenti in formato, in marchio, origine e realizzazione. L’Italia è prima per produzione: nel 2020 il suo valore era quasi di cinque miliardi di euro e gli ultimi dati parlano di 3,5 milioni di tonnellate di pasta prodotti.
Immaginate quindi quanto spaccato di mondo si possa aprire se parliamo di pasta. Infinite angolature per raccontare un prodotto che si traduce in identità culturale. Per questo motivo diventa d’obbligo fare una distinzione tra le diverse anime della pasta. Partendo da quella più collegata intimamente alla terra e alla sua lavorazione: la pasta agricola.
Siamo andati da vicino a esplorare qual è il lavoro che sta dietro un pastificio agricolo e abbiamo scoperto che il legame con la terra innesca un processo di personalità della pasta stessa, che dall’agricoltura trae origine e crea la sua stessa essenza.
Dal seme alla tavola: l’identità agricola della pasta
Siamo nel cuore delle Marche, nella provincia di Fermo, tra colline coltivate che rimandano a un’Italia rurale e sincera, in una culla dove il grano segue passo passo la narrazione culturale dei suoi abitanti. Qui il pastificio agricolo Mancini prosegue una tradizione di agricoltori tramandata di padre in figlio, dove al centro di tutto c’è il lavoro sui campi e il grano.
Realizzare una pasta agricola, infatti, significa conferire un nuovo sapore e una consistenza a un alimento che, troppo spesso, pensiamo con banalità. Un porta sugo, per riportarci all’inizio di questo discorso. Mancini ci ha spiegato cosa significa esattamente produrre una pasta agricola. Un concetto che può essere racchiuso in quello di tempo.
Salterà subito all’occhio, infatti, come il tempo abbia un valore assoluto nell’agricoltura. L’uomo può metterci lo zampino, ma è la terra ad avere il controllo, a dettare i tempi, per l’appunto. Così capiamo che la pasta diventa prodotto dello scandirsi del tempo, in un viaggio che si ripete stagione dopo stagione, come un lungo percorso infinito.
C’è la selezione del seme, la gestione dei campi, attraverso una Buona Pratica Agricola. C’è la trebbiatura, lo stoccaggio a freddo del grano, la molitura. C’è infine il passaggio nel pastificio, la trafilatura al bronzo, l’essiccazione a bassa temperatura e il confezionamento della pasta. Dal seme alla tavola: in un percorso dove nulla è lasciato al caso, ma ogni azione è strettamente studiata, insieme all’ascolto costante della terra e delle sue necessità.
Un circolo infinito e ripetuto, che segue l’andamento del tempo e delle sue stagioni. E il che ha un qualcosa di estremamente romantico e affascinante, perché ci riporta indietro, alle basi stesse del vivere umano: l’attesa, la pazienza.
Stessa attesa che si ritrova, ad esempio, in uno dei passaggi finali della produzione della pasta: quello dell’essiccazione. Mancini anche in questo caso punta sull’attesa con un’essiccazione lenta, con temperature al di sotto dei 55° C, con punte minime di 36° C. Valori che comportano tempi di essiccazione che vanno dalle 24 alle 44 ore a seconda del formato, garantendo così salubrità e gusto nel prodotto finito.
L’abbiamo infatti ribadito più volte. La pasta agricola non è mai identica a sé stessa. È un prodotto della terra, al pari dei pomodori o dell’uva utilizzata per fare il vino. Ha un’anima, che dipende dall’annata agraria, dalle piogge, dagli interventi, dalla manodopera. Un ciclo che si rinnova, anno dopo anno, ma che può mutare in base alle condizioni. E così cambia anche il prodotto finale, la pasta, che, al pari di una bottiglia di vino, si identifica con quel suo anno di produzione. Ed è per questo che la pasta non può essere un semplice strumento per esaltare il condimento: è essa stessa parte fondamentale del piatto, in grado di dare un contributo diverso ed essenziale ad un ragù di lepre o una più immediata cacio e pepe. La pasta come prodotto vivo, ecco come dovremmo considerarla sempre.
Il pastificio Mancini a riguardo sta facendo un’opera di divulgazione importante: è giusto sottolinearlo, la nostra consapevolezza alimentare parte dall’educazione e dall’informazione. E questi due elementi ci portano ovviamente all’origine del cibo che mangiamo, alla sua produzione e nascita in senso stretto.
Per questo Mancini pubblica ogni anno il suo bollettino del raccolto, che ci spiega il ruolo chiave del ciclo del tempo in un pastificio agricolo: «Si è conclusa lo scorso 22 luglio la nostra trebbiatura, chiusura topica dell’annata agraria 2023. Nelle parole di Paolo Mucci, agronomo presso Mancini Pastificio Agricolo, il racconto tecnico di nove mesi di coltivazione e gestione del grano secondo i cardini della Buona Pratica Agricola, senza tralasciare valutazioni di natura quantitativa e qualitativa sul nostro nuovo raccolto».
Il grano è diverso dall’anno precedente? Lo sarà anche il prodotto finale? La risposta è ovvia e positiva. È interessante infatti leggere come le piogge, cadute copiose nei mesi primaverili e estivi, abbiano influenzato il raccolto, andando ad incidere anche su una diminuzione della resa finale, rispetto alle attese della semina. Fattore, questo, che non può non costringere a una più ampia riflessione sulla gestione delle campagne e sulla loro sostenibilità. La terra regala infatti insegnamenti, che solo lo stolto può ignorare. Il cambiamento climatico è li, che guarda in primis dritto negli occhi gli agricoltori. Questo spinge inesorabilmente a diversificare le varietà di grano coltivato, per assecondare ancora una volta la terra e le sue necessità. Mettendo l’accento, quindi, sull’anima della pasta. Una pasta che respira, vive e cambia, come ogni essenza vivente.