Si incomincia cosi: varie strette di mano, presentazioni, saluti fraterni e una domanda, domanda pungente, delicata e, ovviamente complicata: «Perché il piccolo è necessariamente bello e, il grande necessariamente brutto?»
Marco Colognese, food writer, critico enogastronomico e moderatore del tavolo 3, quello dedicato al tempismo della natura, lancia sul palcoscenico gastronomico questa riflessione, che è proprio il la per aprire le danze e per innescare il dibattito tra gli “eterogenei attori esperti di cibo”.
Il “piccolo” lo associamo infatti alla bellezza dei dettagli, al rapporto con le persone, anche quelle amichevolmente sconosciute, ai prodotti equi e giusti, a una natura curata e delicata, a tutto quel mondo che la parola sostenibilità racchiude. Però, proprio questo “piccolo” risulta essere inefficiente, utopistico, diciamo, insostenibile, e da qui: l’insostenibile sostenibilità.
Concordano i partecipanti sul fatto che, come un topolino bello che viene costantemente inseguito, poi schiacciato da un elefante affamato e statico, le filiere corte, i piccoli produttori, le buone materie prime stagionali vengono inghiottite dalla grande distribuzione caratterizzata da iper-efficienza e da iper-consumismo frettoloso, che non lascia spazio a nessun tipo di contendente.
Ma chi l’ha detto che questi due animali devono essere obbligatoriamente nemici? O invece possono imparare a riconoscersi, intraprendere un percorso condiviso, il cui fine è lo stesso?
In altre parole, non per forza la sostenibilità deve essere una questione privilegiata di una sola nicchia di persone, anzi, deve essere il traguardo che ogni cittadino nel suo dovrebbe perseguire.
«Ci si deve abituare a cambiare abitudine», dicono, «perché spesso siamo troppo pigri o intransigenti».
Il problema è che più volte rimaniamo in superficie, accettiamo slogan, senza realmente conoscere il loro significato, quindi li facciamo nostri, diventano parte di una consuetudine a cui noi, poi, ci affezioniamo: per quale ragione dovremmo cambiare?
Forse perché una proposta differente potrebbe essere migliore? O perché accettare un metodo alternativo potrebbe fare bene? L’innovazione, infatti, si verifica solo se sa anche guardare il passato, riuscendo a veicolare bene vero, portando benefici positivi per tutti.
Ormai il tavolo di confronto diventa un concerto polifonico di idee e opinioni tutte quante in armonia. Ma quattro ore di discussione sembrano non bastare, perché ogni parola nuova apre la strada ad altri mille sotto argomenti; finché ad un certo punto, ristoratori, produttori, commerciali, titolari e cuochi seduti intorno al tavolo 3 danno l’impressione di aver trovato un accordo, un piano risolutivo, un escamotage per fondere il piccolo sostenibile con il grande: cultura, compresso e consapevolezza.
Sì, tre “C” riassuntive e chiavi di volta per imparare con buon senso a rallentare, a seguire il tempo della natura, manifestando la sostenibilità.
Cultura perché dietro ad una pagnotta di pane, c’è la storia di una famiglia, di un Paese, di un’identità.
Cultura per trasmettere tradizione rendendola attuale. Cultura per parlare di un territorio, per descriverlo e farlo vivo: infatti il concetto di sostenibilità non si può slegare dalla terra, le sue radici.
Consapevolezza perché è fondamentale insegnare e raccontare, essere maestri e trasmettere buone visioni. Come il ruolo svolto dal cuoco, perché oltre a dover preparare con la giusta qualità piatti e pietanze, deve motivare, sostenere e rispettare i propri collaboratori, è leader e modello, ma soprattutto è trasportatore di educazione diretta, poiché esponendo le sue ragioni di scelta di ingredienti, di creatività dei piatti e di capacità culinaria, istruisce sia i clienti sia i colleghi, stimolando interesse e instillando curiosità, aggiungendo una punta di (in)formazione e regalando un’esperienza di crescita.
Compromesso, come sinonimo di ascolto e di confronto, di lavoro e di processo.
Compromesso non come rassegnazione, ma azione. Spiegano i trasformisti-esperti del cibo, quelli seduti attorno allo stesso tavolo, che spesso durante il loro lavoro sono dovuti scendere a compromessi, ma che lo hanno fatto per saper accettare un risultato migliore in futuro o perché hanno saputo aspettare, senza agire con velocità, ma solo con maggiore astuzia o strategia lungimirante.
Infine, si può aggiungere una quarta parola, che riassume l’incontro di lunedì 22 maggio: comunicare.
Perché dentro la comunicazione c’è un pensiero, quindi un intreccio di valori che convivono tra di loro; perché comunicazione significa ascoltarsi e incontrarsi, acquisendo consapevolezza e diffondendo cultura; perché anche la nostra cara Natura mette in comune le proprie risorse attorno a unico “tavolo” offrendoci un “tempo prezioso”, tutti doni che dovremmo accudire.