TocatìUn festival veronese per capire perché giocare è una cosa seria

Giocare rappresenta il modo in cui stabiliamo relazioni con gli altri, ci mostra chi siamo e mette a nudo le difficoltà, tutte umane, a condividere del tempo e dello spazio con i propri simili. L’Unesco ha inserito tra le buone pratiche del registro dei beni immateriali dell’umanità una manifestazione che celebra il mondo ludico e le sue comunità

Tocatì

Si chiama Tocatì ed è una vera e propria festa del giocare che da vent’anni si svolge a Verona, che raduna giochi dal mondo e che quest’anno si svolge nella sua ventunesima edizione, dal 14 al 17 settembre. L’obiettivo dell’evento, spiega Giuseppe Giacon, uno dei fondatori, è quello di costruire «un cantiere permanente di salvaguardia delle comunità di pratica». Dunque, l’attenzione è sulla quotidianità di chi pratica un gioco, non letta come rievocazione storica di giochi abbandonati o della dimensione paesistica. Il percorso per ottenere il riconoscimento dell’Unesco è durato otto anni, con già dodici alle spalle di incontri su un terreno di gioco speciale, quale è la città veneta. Per l’occasione, infatti, Verona si trasforma in un enorme campo giochi, insieme alla musica e a momenti di riflessione sull’arte di giocare. Ma soprattutto è uno spazio per tutti, transgenerazionale.

«Quella che arriva a Verona è una comunità composta da persone di ogni età che praticano sport e giochi tradizionali – continua Giacon -. Facendolo, portano avanti una tradizione nella pratica: giocano per il piacere di farlo, in uno spazio pubblico, che sia rurale, urbano o in un luogo chiuso, ma sociali». Non solo: i fondatori sono i primi giocatori curiosi che hanno deciso di cercare altre comunità con cui confrontarsi, finché questo cercare è diventato un «movimento di azione e di pensiero che si batte per salvaguardare le comunità di pratica vivente», spiega Giacon.

Il centro del festival sono le persone e il confronto delle diverse culture, che si incontrano per diventare giocatori del mondo. Questa pratica vivente e attiva è infatti anche una palestra di condivisione. «Giocare è un modo di stare bene tra gli uomini», dichiara il fondatore, e se è vero che senza regole non si gioca «è altrettanto vero che le regole devono essere condivise e in accordo con l’avversario e, se occorre, possono anche essere modificate. Questo è un portato democratico: giocare ha un senso etico». A questa edizione partecipa anche il paesologo e poeta Franco Arminio, che invita a «riattivare la giocosità nelle relazioni umane». Concorde nel considerare il gioco come un esercizio di democrazia, sostiene l’importanza di «riattivare la giocosità tra sconosciuti, soprattutto nell’età adulta, dove si gioca sicuramente di meno. Il politicamente corretto non ha aiutato a coltivare questa dimensione, fondamentale anche nella seduzione: giocare è conoscersi e mettersi in gioco».

Bastone Pugliese

Sembra tautologico, ma certamente non lo è, perché nel farlo si mostra la storia di ognuno, la capacità di mediazione e quella di stare insieme agli altri. Sembra, però, che un pizzico di nostalgia trapeli dalle parole dei due interlocutori: Franco Arminio ricorda i giochi di paese, quelli che non si possono fare più per il troppo traffico e per i troppi impegni, quelli che facevano sì che i ragazzini trasformassero lo spazio cittadino in un campo giochi diffuso. È inevitabile fare un confronto con i giochi online, spesso comunitari, ma senza relazione fisica. «È questo che manca: l’incontro con gli altri nello spazio e la capacità di condividere regole e obiettivi», spiega Arminio, che domenica alle 17.00 parlerà di questi temi durante la conferenza dal titolo “Ritualità e gioco: sacro minore”, accompagnato dalla lettura di alcune sue poesie.

Di tecnologia, gioco online e sviluppo infantile parlerà Daniela Lucangeli, professoressa di Psicologia dello sviluppo presso l’Università di Padova ed esperta di psicologia dell’apprendimento, in “Il digitale non è un gioco”, evento che si terrà domenica alle ore 11.00. A questi pensieri fa eco Giacon: «Il riconoscimento che ci ha dato Unesco deve essere usato anche come strumento politico. La considerazione delle persone che giocano, la salvaguardia del loro sport e la libertà di praticarlo cercando di contrastare i divieti a giocare sempre più frequenti, sono tutti elementi forti per la popolazione. Ecco perché Tocatì non è parte del Patrimonio ma è una buona pratica per Unesco: il gioco è un corpo vivo che si ripensa e si modifica nel tempo, già definito dalla Commissione Cultura Europea nel 2018 come lavoro di diplomazia culturale».

Jogo da Banca

La festa organizzata al Tocatì esprime tutto questo, con l’intento preciso di non confinare il gioco a uno spazio di pensiero, ma praticarlo invece in una dimensione assolutamente ludica. «Con questa parola intendo adattarsi allo spazio e al tempo in modo vitale – precisa Giacon -. Fare comunità è l’elemento vitale, spesso anche molto faticoso perché stare con gli altri non è semplice. Occorre fare dei compromessi, in senso positivo, per trovare il modo migliore di stabilire relazioni. Si crea allora uno spazio franco a cui tutti possono appartenere». Nulla di spettacolare nel senso più commerciale del termine, ma un’infinità di piazze e piazzette, palazzi aperti e altri luoghi urbani dove la gente si trova a giocare: ecco cosa succede a Verona, nei giorni del Tocatì. Ma non solo, perché se usiamo il verbo giocare alla maniera anglosassone, a questa azione fanno capo non solo sport e giochi, ma anche la musica, da sempre parte di «un caos ludico pensato, in cui l’umano festeggia lo stare insieme, nei modi più naturali, semplici e contemporanei che conosce».

Teresa Salgueiro

In calendario per questa edizione ci sono concerti e spettacoli teatrali, tra cui quello di Ginevra di Marco (“Donna Ginevra e le stazioni lunari”, sabato alle ore 21.00) e di Teresa Salgueiro, voce dei Madredeus che rappresenta il Portogallo, paese ospite di quest’anno. Fondata da un collettivo tuttora in funzione, costituito in forma di associazione con il nome di AGA – Associazione Giochi Antichi, sottolinea che di antico in realtà c’è ben poco. «Ci sono anche dei giochi antichi, sì, ma non intendiamo in alcun modo museificare il gioco, bensì proteggere – e non conservare – la qualità, il pensiero e lo spirito dell’umano per giocare nel nostro tempo, mettendo al centro le persone – giocatori», conclude Giacon.

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