Il confine tra Italia e Slovenia è sulle colline, sopra Trieste. La linea da attraversare è la stessa per chiunque: pakistani, afghani, ucraini, siriani. La frontiera, però, ha un sapore giuridico diverso a seconda della nazionalità. Dopo l’invasione russa, l’Unione europea ha concesso agli ucraini una protezione temporanea collettiva. Gli altri migranti, invece, per restare in Italia devono presentare una domanda di asilo. Compilare un modulo, aspettare l’invito della questura per un colloquio, attendere il permesso di soggiorno. Ci vogliono mesi. Per gli ucraini è molto più veloce ricevere il permesso perché viene rilasciato a tutti i residenti in Ucraina. La stessa protezione collettiva è stata invocata innumerevoli volte da diverse associazioni che considerano i migranti che fuggono dalle crisi umanitarie in Afghanistan e Siria altrettanto meritevoli di tale applicazione legale.
Dal 2015 molte persone hanno iniziato ad attraversare i Balcani per raggiungere il Nord Europa. A Trieste la Comunità di San Martino al Campo dal 2004 gestisce un piccolo dormitorio per senzatetto e, dal 2009, ha anche un centro diurno dove le persone in difficoltà possono andare a farsi una doccia o una visita medica. «Quando abbiamo cominciato, quasi trent’anni fa, venivano per lo più italiani senza dimora, adesso sono in maggioranza migranti della rotta balcanica», dice a Linkiesta Davide Venier, coordinatore delle strutture della Comunità di San Martino al Campo. «Ogni giorno al centro diurno di via Udine si presentano circa duecento persone. Ai più fragili cerchiamo di offrire un letto in dormitorio, ma i posti che abbiamo sono solo venticinque, troppo pochi rispetto al numero di persone che arrivano», continua Venier.
A spiegare a Linkiesta come la città è organizzata con l’ingresso dei migranti è Gianfranco Schiavone, presidente del Consorzio italiano di solidarietà (Ics), associazione triestina che si occupa di rifugiati. «A Trieste c’è un sistema binario: l’accoglienza territoriale diffusa e il ricollocamento, e questo vale sia per gli ucraini che per i migranti della rotta balcanica».
Significa che nel capoluogo del Friuli Venezia Giulia non esistono grandi centri di accoglienza, ma – come spiega Schiavone – ci sono circa centottanta appartamenti messi a disposizione delle persone che hanno fatto domanda di asilo. E poi c’è il sistema di trasferimento verso altri comuni italiani «Il meccanismo di ricollocamento verso il resto del territorio è saltato da luglio 2022 perché il governo ha smesso di occuparsi dei migranti della rotta balcanica e non ha più redistribuito le persone entrate in Italia da Trieste».
Il risultato? Molte persone nonostante la richiesta d’asilo – e le leggi che stabiliscono la tutela dei richiedenti – non hanno alcun tipo di accoglienza. I posti in città sono finiti e chi rimane è costretto a dormire in strada.
Stanotte tra la polvere, le piante di senecio e le ragnatele, circa cinquecento persone cercheranno riparo negli edifici abbandonati del vecchio porto asburgico. «Nei silos del porto vecchio dormono giovani provenienti da Afghanistan, Pakistan, Siria», dice Paolo Parisini della Comunità di Sant’Egidio, un’altra delle associazioni triestine del terzo settore.
Quest’anno a Trieste, i posti di accoglienza non bastano, nonostante a fare richiesta d’asilo siano solo il trenta per cento dei migranti che entrano in Italia. Diecimila gli ingressi ad agosto 2023 dal confine con la Slovenia. Nel 2022 erano stati dodicimilaottocento. Secondo Schiavone «non si può parlare di emergenza strutturale. Il sistema è in tilt per una subdola e illegale strategia di governo: dissuadere i migranti a restare, disinteressandosi di loro e lasciandoli in condizioni invivibili».
Questa strategia sembra avere influenzato anche con gli ucraini che sono passati da centottantamila nel 2022 a poche migliaia, come segnalato dall’associazione Noi migranti. «Dopo la fuga di massa dei primi giorni dell’invasione, la stabilizzazione ha motivato il rientro di tanti, ma questo non basta a spiegare tutto. Ha pesato anche, e non poco, la cattiva accoglienza che è stata loro riservata», afferma Roberto Soncin, presidente di Noi migranti.
A Trieste, molti hanno percepito una gestione migliore dei profughi ucraini. Questa sensazione, però, sembra essere stata causata da almeno tre elementi che hanno confuso l’opinione pubblica: l’iniziale retorica di accoglienza fatta nei giorni immediatamente successivi all’invasione dell’Ucraina; l’ospitalità che i connazionali già immigranti in Italia hanno offerto alle persone in fuga dalla guerra; la situazione più favorevole che i centri di accoglienza vivevano prima dell’estate del 2022 e cioè nei mesi in cui sono arrivati la maggior parte dei residenti in Ucraina. «A ingannare la percezione pubblica sul trattamento riservato agli ucraini è la propaganda governativa e istituzionale che è stata fatta. Se non ci sono persone ucraine che dormono in strada è perchè sono stati i connazionali che già vivevano e lavoravano in Italia ad accoglierli nelle loro case o nelle loro stanze», conferma Soncin.
Schiavone dell’Ics precisa che le associazioni del terzo settore non fanno alcuna differenza: la cura verso ucraini e migranti della rotta balcanica avviene allo stesso modo. «Molti ucraini accolti in famiglie vogliono essere spostati in appartamenti di proprietà pubblica, ma non riescono. Se c’è una polemica sulla gestione di migranti ucraini e non – dice Schiavone – è sull’incredibile lentezza con cui vengono esaminate le richieste di asilo dei non ucraini».