Chi move il sole e l’altre stelleSe l’energia si conserva, perché devo pagare la bolletta?

L’astronomia per millenni si è avvalsa per l’osservazione del cielo dell’occhio umano, ma esistono tipi di luce che non possiamo vedere. Una guida al cosmo violento, variabile e imprevedibile e a come possiamo scrutarlo, dalle onde radio ai raggi gamma

Foto di Yong Chuan Tan su Unsplash

È un errore pensare al “consumo” di energia come al fatto che l’energia che si usa per compiere un lavoro si perda. Come ci hanno insegnato a scuola, l’energia si conserva. Noi possiamo usare l’energia elettrica per fare funzionare un frullatore, ma questo non influisce per niente sul bilancio complessivo di energia. Quello che in realtà abbiamo fatto è stato trasformare l’energia da un tipo ordinato a un tipo disordinato.

Dalla corrente, cioè un moto ordinato di cariche dentro al filo elettrico, a un moto caotico provocato dal motore del frullatore, che si è scaldato e ha trasferito questo calore alle molecole d’aria tutto intorno al motore, facendole muovere più velocemente ma in maniera disordinata. Se fossimo capaci di sommare l’energia di moto di tutte le molecole che hanno ricevuto un po’ di calore dal frullatore, troveremmo esattamente il valore dell’energia trasportata dalla corrente elettrica.

A prima vista sembra una magia: possiamo utilizzare l’energia elettrica per far funzionare la lavatrice, lo scaldabagno, il ferro da stiro e l’energia non viene consumata? Allora perché dobbiamo pagare la bolletta? Per quanto possa sembrare strano, è proprio così.

Quello che paghiamo è la produzione e la distribuzione di un tipo di energia adatto a essere trasformato in un altro tipo, più disordinato (essenzialmente calore), che non riusciamo più a riutilizzare, ma che contiene tutta l’energia di prima. Quindi, semplificando, esiste dell’energia “buona”, cioè utile per far funzionare il frullatore, e dell’energia “cattiva”, in una forma che non riesco più a riutilizzare. Ma quando l’energia buona si trasforma in energia cattiva, non se ne perde neanche un po’.

Tornando alla nostra Terra infrarossa, pensiamo alla luce solare intercettata da una foglia, che usa la radiazione del Sole per far funzionare la fotosintesi clorofilliana, in cui l’energia della luce solare viene usata per trasformare sei molecole di acqua e sei molecole di anidride carbonica in una molecola di glucosio e sei di ossigeno.

Possiamo anche dire, semplificando, che – dopo la trasformazione – l’energia iniziale dovuta alla radiazione solare è immagazzinata nella molecola di glucosio, cioè lo zucchero più comune. Quando mangiamo, facciamo interagire il glucosio con l’ossigeno, liberando così l’energia contenuta nel glucosio.

Riassumendo, il Sole attiva la fotosintesi clorofilliana, un processo che consuma anidride carbonica e produce ossigeno insieme a una buona riserva di energia sottoforma di zucchero. Noi e tutti gli animali mangiamo lo zucchero, consumando ossigeno e producendo energia, insieme ad acqua e anidride carbonica. Un ciclo perfetto, finché è in equilibrio, il cui motore è il Sole.

A questo punto l’energia prodotta viene usata, ma inevitabilmente ci scalda e, come corpi caldi, produciamo radiazione infrarossa (a una temperatura non molto diversa da quella media della Terra: 309 gradi Kelvin).

In questo schema la luce infrarossa può essere vista come “scoria” di riprocessamento: arriva la luce visibile (nobile), viene assorbita e poi riemessa (riprocessata) uscendo dal processo come infrarosso.

Se la parola “entropia” non vi spaventa, possiamo anche dire che il Sole fornisce energia a bassa entropia, la Terra la assorbe e la riemette in infrarosso, che è luce ad alta entropia (non per niente per emettere la stessa potenza ci vogliono venti fotoni infrarossi per ogni fotone solare).

Ma anche senza scomodare l’entropia possiamo già da ora cominciare a farci un’idea di una delle possibili caratteristiche dell’infrarosso, cioè che – in alcuni casi – è il risultato di un riprocessamento, cioè di un assorbimento e della successiva riemissione.

Intendiamoci, non è per niente la sola proprietà della luce infrarossa, ma quanto detto per la Terra, per esempio, vale anche per le grandi nubi molecolari e polverose che possono circondare le regioni di formazione stellare: le stelle, magari neonate, emettono luce visibile e ultravioletta, le nubi le assorbono, nascondendole alla vista dei nostri telescopi a Terra, e riemettono la stessa quantità di luce che hanno assorbito in infrarosso.

Se sono nubi compatte la loro riemissione avverrà nell’infrarosso vicino (banda del micron), mentre se sono grandi, e quindi hanno una superficie di dissipazione maggiore, riemettono nella banda delle decine di micron.

Da “L’universo come non si era mai visto” di Gabriele Ghisellini, Hoepli, 210 pagine, 18,90 euro.

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