L’Assemblea generale delle Nazioni Unite è un appuntamento che fino a qualche anno fa era caratterizzato da dichiarazioni solenni e una certa prevedibilità nel concludersi con un nulla di fatto, ma che dopo la pandemia e l’invasione russa dell’Ucraina è diventata un’arena per leader e nazioni che cercano di portare avanti le proprie agende tra il disordine internazionale e le crisi, ma senza attribuire un ruolo concreto all’istituzione fondata nel 1945. Ogni anno che passa, la settimana dell’Assemblea generale mostra gli spostamenti dei rapporti di forza e le fratture tra le grandi e medie potenze, e la fatica di dare forma ai desideri di una governance globale condivisa.
Il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres sta cercando di convincere i centonovantatré paesi membri a concentrarsi sulle sfide globali a lungo termine come il cambiamento climatico e l’impatto dell’intelligenza artificiale, senza particolare successo.
Le grandi potenze sono troppo impegnate a danneggiarsi a vicenda per contendersi spazi di egemonia, mentre i paesi in via di sviluppo sono costretti ad affrontare con i pochi mezzi che hanno le crisi immediate, comprese le conseguenze economiche, ambientali e politiche degli scontri tra le grandi potenze e i posizionamenti delle medie potenze regionali.Per i paesi in via di sviluppo l’Assemblea è ancora un appuntamento importante per fare il punto sullo stato di avanzamento dei diciassette Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030, il problema però è che con i ritmi attuali nessuno di questi sarà realizzato entro quella data.
In teoria c’è un ampio consenso sul fatto che le sfide a lungo termine evidenziate da Guterres non possono essere ignorate, ma senza una riforma ad ampio spettro delle istituzioni globali – a partire dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale – non ci sarà una svolta.
L’ex premier britannico laburista Gordon Brown la settimana scorsa ha sottolineato la necessità di una nuova era di multilateralismo. Brown, oggi inviato speciale dell’Onu per l’istruzione globale, intervenendo al Wto ha detto che «nessuna delle istituzioni deputata ad affrontare il problema della povertà estrema è in grado di agire in modo abbastanza efficace”, denunciando che istituzioni come il Programma alimentare mondiale si trovano nella condizione impossibile di fare “quasi il doppio con meno della metà delle risorse di cui hanno bisogno».
Eliminare la povertà estrema, una piaga che affligge cinquecentosettanta milioni di persone il cui contrasto in teoria mette tutti d’accordo, è uno degli obiettivi dell’Agenda 2030 che non sarà raggiunto. «Questo è un mondo in cui nel migliore dei casi la cooperazione è ’à la carte’ e nel peggiore dei casi è caduta in disuso», ha detto Brown, che considera ormai preoccupante «il divario tra la necessità di un’azione coordinata a livello globale e la capacità di realizzarla» o, come ha sottolineato correggendosi, «la volontà di realizzarla».
Quel divario non sembra destinato ad attenuarsi. Nonostante la guerra in Ucraina, i colpi di stato in Africa, i disastri naturali legati al cambiamento climatico, gli attriti tra Stati Uniti e Cina, e l’escalation di queste ore nel Nagorno-Karabach, quest’anno sarà presente solo uno leader dei cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza: Joe Biden.
Vladimir Putin non è presente per ovvie ragioni, mentre l’assenza di Xi Jinping risulta pesante visto l’antagonismo tra Pechino e Washington. Ma è l’assenza di Rishi Sunak e di Emmanuel Macron a rafforzare la sensazione diffusa che le istituzioni dell’Onu non rappresentano più lo strumento con cui mediare i conflitti e le tensioni geopolitiche.
Tuttavia, tra i leader presenti che hanno ancora fiducia nell’Onu c’è Volodymyr Zelensky, che quest’anno ha preparato una controffensiva diplomatica senza precedenti. Oltre all’intervento all’Assemblea preceduto da un’intervista alla Cbs in cui ha rimesso in chiaro che Kyjiv non intende rinunciare a liberare i territori e gli ucraini che vivono sotto occupazione russa, Zelensky sta cercando di organizzare il maggior numero possibile di incontri con i leader dei paesi latinoamericani, asiatici e africani, nel tentativo di convincerli a schierarsi almeno in parte con l’Ucraina.
Sul piano della diplomazia esterna al mondo occidentale Zelensky si trova in grande difficoltà, gli sforzi di trovare solidarietà nel Sud globale si scontra con il “pragmatismo” di paesi che, pur essendo colpiti direttamente dalle conseguenze della guerra, proprio per questo motivo non vogliono schierarsi per non subire ritorsioni ancora più dirette.
Fuori dal mondo occidentale tanti paesi desiderano che la guerra si risolva al più presto e in qualsiasi modo, compreso un cessate il fuoco o armistizio che implicherebbe la cessione de facto alla Russia dei territori ucraini occupati. Inoltre, per molti paesi del Sud globale – in particolare nell’America latina – schierarsi con l’Ucraina significa schierarsi con l’imperialismo statunitense, e poca importa che in questo modo si lasci campo libero all’imperialismo russo.
Dopo New York, Zelensky sarà a Washington per fare il punto con Biden sul sostegno militare, con l’inquilino della Casa Bianca alle prese con le divisioni che attraversano il Congresso, che in vista delle elezioni del 2024 appare meno compatto nel dare un pieno sostegno a Kyjiv. Ennesimo capitolo di un’esitazione occidentale che indebolisce la posizione di Zelensky nei confronti del resto del mondo.
Con queste premesse pensare a uno scatto in avanti nella cooperazione globale per temi come l’attuazione dei diciassette punti dell’Agenda 2030 appare quasi un’utopia. Ma forse, è proprio dal pieno riconoscimento internazionale dell’orrore dell’invasione russa dell’Ucraina che potrebbe iniziare una nuova era di multilateralismo e cooperazione.