Arriva il disegno di legge di bilancio «seria e realistica» (così Giorgia Meloni commentando: «basta sprechi!») che deve fare i conti con «le poche risorse» disponibili (così il viceministro dell’economia e delle finanze Maurizio Leo). In Parlamento la manovra, comprensiva di ventiquattro miliardi a cui aggiungere i quattro del decreto fiscale collegato, si prevede non subisca emendamenti almeno da parte della maggioranza di Governo (così Matteo Salvini).
Intanto deputati e senatori sono chiamati a deliberare a breve termine sulla conversione in legge del cosiddetto “Decreto Sud”, intitolato “Disposizioni urgenti in materia di politiche di coesione, per il rilancio dell’economia nelle aree del Mezzogiorno del Paese, nonché in materia di immigrazione”. Si tratta del decreto-legge del 19 settembre 2023, pubblicato in Gazzetta ufficiale nello stesso giorno e in vigore dal giorno successivo. Va convertito entro il 18 novembre prossimo, altrimenti il provvedimento decadrà.
Gravi sono a nostro parere le anomalie presenti in questo provvedimento, il quale a pensare male viene incontro a necessità inconfessabili, oltre a quelle esplicite, e si inserisce in modo originale nel criticato complesso di cosiddetti – spregiativamente – “decretini” che i governi negli ultimi anni sono accusati di produrre con dovizia.
Infatti siamo anzitutto di fronte al problema della eterogeneità dei contenuti del decreto-legge, faccenda che non per essere diventata abituale anestetizza dal ripetuto vulnus alla Costituzione perché in questa delicata materia essa esige – all’art. 77 – che i «casi straordinari di necessità e d’urgenza» cui far fronte col decreto siano effettivamente tali, non rapidamente ripetuti senza fondatissime ragioni, nonché di disciplina omogenea (e qui con l’economia del Meridione, con l’utilizzo dei fondi europei, col «rafforzamento della capacità amministrativa», ecc., si mischiano «disposizioni in materia di trattenimento presso i centri di permanenza per i rimpatri»).
Ma quello che ora vogliamo segnalare, cercando di promuovere un dibattito pubblico – ad oggi assente al riguardo – è il problema che si pone riguardo alle modalità secondo le quali il decreto in oggetto vuol porre rimedio al deficit di capacità amministrativa dei Comuni appartenenti alle otto Regioni del Meridione d’Italia in cui già esistevano otto diverse “Zone economiche speciali” (Zes), create con legge n. 123 del 2017.
Questa legge disciplina interventi (manco a dirsi ancora una volta urgenti) per la crescita economica del Mezzogiorno su cui dal 1861 ci si affatica. Ora le Zes precedenti sono ridotte tutte a un’unica Zes (con qualche perplessità nel confrontarsi col fatto che il governo pensa a differenziare le varie autonomie regionali), ambito geografico dotato di legislazione economica ad hoc con possibilità di derogare alle regole ordinarie in determinate politiche, prestando particolare attenzione all’esistenza di zone portuali.
L’occasione è colta nel decreto dalla nuova programmazione 2021-2027 dei fondi strutturali e di investimento dell’Unione europea: essa prevede un considerevole impegno sul miglioramento dell’efficienza delle amministrazioni pubbliche del Sud Italia, e in particolare di Comuni, mettendo a disposizione risorse finanziarie per assumere personale. La previsione è opportuna: anche l’Unione europea sa che la Pubblica Amministrazione italiana per concomitanti cause (fra le quali ha giocato un ruolo non trascurabile il blocco del turn-over) si è negli anni impoverita di personale, in taluni casi nemmeno essendo in grado gli enti pubblici locali territoriali di svolgere le attività ordinarie loro incombenti. Occorre dunque intervenire migliorandone la capacità di funzionare per incrementare, attraverso la professionalizzazione, la capacità di spesa delle risorse erogate.
Il “Decreto Sud”, ponendosi come provvedimento di attuazione anche delle linee strategiche europee in materia, opera in due direzioni che dovrebbero essere sinergiche. Anzitutto ((al proprio art. 10)) mette a disposizione della Pubblica Amministrazione italiana un supporto tecnico temporaneo, quale una “Struttura di missione” centrale – con compiti di indirizzo, sostegno, ecc. – presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. In secondo luogo (al proprio art. 19) prevede assunzioni a tempo indeterminato fino a 2.200 persone a vantaggio delle Regioni Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia (escluso l’Abruzzo, pur appartenente alla nuova Zes unitaria), di Città metropolitane, Province, Unioni di Comuni e di Comuni compresi nelle predette Regioni, nonché per rafforzare le funzioni di coordinamento a livello statuale centrale del Dipartimento per le politiche di coesione della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Ciò che sconcerta nel provvedimento è (fra l’altro) particolarmente la modalità scelta per la copertura finanziaria dell’operazione.
Il decreto stabilisce che il costo dei nuovi assunti nell’ambito della Zes unitaria sarà coperto fino a tutto il 2029 dalle risorse stanziate dal Programma Nazionale di utilizzo di risorse del Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr) e del Fondo sociale europeo plus (Fse+) intitolato “Capacità per la coesione 2021-2027”, a condizione che i neo-assunti svolgano esclusivamente attività relative alle politiche di coesione.
Ora, le norme vigenti prima di essere innovate dal decreto-legge in questione prevedevano che il criterio per assumere negli enti locali dovesse essere quello della «capacità assunzionale», ovvero dell’idoneità del singolo ente pubblico di sostenere l’onere del nuovo assunto a tempo indeterminato.
Queste norme restano in vigore per la Pubblica amministrazione italiana, ma vengono derogate per la nuova Zes. Ne deriva che a partire dal 2030 gli enti locali che abbiano ricevuto un trattamento di favore in virtù di questo decreto-legge dovrebbero vedersi nuovamente applicare la disciplina generale, dunque facendosi carico alla fin fine della sostenibilità finanziaria degli assunti per effetto di questo provvedimento.
Non sarà così: il “Decreto Sud” dispone infatti che tutte queste duemila duecento persone saranno sempre a carico di cespiti finanziari non riconducibili agli enti per i quali lavorano. Il decreto-legge individua le modalità per recuperare le risorse finanziarie necessarie: non nuove imposte per i cittadini (possiamo tirare un respiro di sollievo?), bensì le risorse assegnate a fondi già esistenti, cioè il Fondo di solidarietà dei Comuni, il Fondo nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale, il Fondo per le Province e il Fondo per le Città metropolitane (non annoiamo coi riferimenti normativi precisi in materia).
Certamente la decisione governativa risponde a scelte politiche discrezionali che potrebbero avere di mira il rispetto del principio di solidarietà e il problema del riequilibrio del divario territoriale. Ma stupisce che non vi sia stato alcun dibattito sulla scelta che distrae risorse finanziarie senza tener conto di alcuni dati inoppugnabili.
Anzitutto, il divario territoriale in Italia riguarda non solo la situazione di difficoltà in cui si trovano le Regioni (e gli enti pubblici in esse ricompresi) del Sud Italia, ma anche territori (per esempio i Comuni montani) appartenenti a Regioni del Centro e del Nord Italia. Le esigenze di perequazione che sono state alla base della decisione di istituire con legge i Fondi sopra ricordati non sono di sicuro venute meno.
Inoltre, una scelta del tipo effettuato dà un segnale di deresponsabilizzazione molto grave. Qui si sta mandando un messaggio secondo il quale qualsiasi sia stato il motivo (anche colpevole) che abbia determinato la scarsa consistenza di capacità amministrativa dell’ente locale, il suo personale, assunto a titolo di questo decreto-legge, andrà a carico dell’intera comunità nazionale, senza che si richieda all’ente interessato un qualche impegno per esempio al riequilibrio di quella capacità assunzionale che gli ha impedito di assumere una risorsa di personale, così come invece altri enti hanno saputo fare, sicuramente con grande impegno, fatica e, in definitiva, responsabilità.
Siamo certi che chi sta valutando la povertà della nuova legge di bilancio, ramazzando danaro a debito emettendo BOT a interessi importanti con conseguente aumento del debito pubblico, si sia reso conto del grande dispendio di risorse al quale si va incontro quando (dopo il 2029) le risorse europee non soccorreranno più? O ci si affida all’italico “stellone” e alle fortune future? Prima della conversione del “Decreto Sud” bisognerebbe avviare un dibattito per ricercare un’alternativa alla soluzione individuata dal governo.
Ad esempio, perché non prevedere che i Fondi implicati ora a copertura dell’ingente somma di spendita futura siano previsti – ad opera della Ragioneria dello Stato nell’ambito del Ministero dell’economia e delle finanze – solo come un fondo di garanzia a supporto del caso eccezionale in cui nel 2030 il Comune beneficiato dalla misura assunzionale abbia ancora problemi di bilancio, non sia stato cioè in grado nell’arco temporale di questi cinque-sei anni di “mettere ordine” nei propri conti? Si tratta di un approccio in grado di responsabilizzare la singola amministrazione locale: di farla, per così dire, diventare adulta!
Altre criticità sono presenti nel decreto-legge. Citiamole per così dire a futura memoria e magari per occuparcene successivamente.
Per esempio: come saranno identificati gli enti locali beneficiari della misura? Un Comune in dissesto potrà aspirarvi? E quelli a rischio di infiltrazione criminale? E se davvero finiranno con l’esser tagliati ai Comuni un po’ di miliardi per progetti del Pnrr la situazione organizzata dal provvedimento in questione quali conseguenze porterà? E poi e poi … direbbe Mina. Il bulimico “Decretone Sud”, trangugiatore di risorse, va ora davvero “convertito”, nel senso etimologico della parola.
Dino Rinoldi, Assemblea di +Europa, Professore di “Organizzazione internazionale” in Università Cattolica S.C.
Nicoletta Parisi, Direzione di +Europa, Professore di “Diritto e politiche di contrasto alla corruzione interna e internazionale” in Università Cattolica S.C.