Per i bresciani il salame – e con esso il maiale – è quasi legato alla sfera dell’affettività, e questo amore viscerale fa sì che alla sua riuscita ci si dedichi con la massima cura, sebbene si tratti di un’usanza relativamente recente. Anche se nessuno dei circa settecento salumi tradizionali italiani è di natali bresciani, il quattordici per cento della produzione nazionale deriva da queste terre, che ospitano di fatto più suini che abitanti. Una “popolazione” giovane (figlia del boom economico) che negli ultimi decenni ha costruito un patrimonio ricco di sapori e di riti unici.
Salame di Monte Isola
L’isola lacustre più grande d’Italia non è famosa solo per il pesce di lago ma anche per il salame, alla cui preparazione si dedica – da sempre – ogni famiglia. Il rituale di confezionamento vede impegnate per una giornata intera almeno quattro persone, ognuna con il suo compito: chi taglia la carne (rigorosamente a mano), chi mescola l’impasto con le spezie, chi insacca e chi lega. Fondamentale completare le operazioni durante una fase di luna calante. E poi il salame deve essere appeso nella “cà del salam”, una cantina con muri in pietra e soffitto a volte, in cui la legna secca brucia continuamente. Dopo trenta giorni, è pronto per essere mangiato o messo sotto grasso nelle anfore affinché si conservi più a lungo. Gli emigrati montisolani giurano che lo stesso procedimento fuori dall’isola non dà gli stessi risultati.