Che cosa ha impedito non ai farabutti, non ai mistificatori, non ai complici e ai sadici che contestualizzavano e a volte persino negavano la verità del pogrom del 7 ottobre, ma a tante persone in perfetta buona fede, a tante persone perbene, a tante persone che pure erano ben disposte a guardare in modo candido quel che era successo, che cosa ha impedito a quest’altra buona gente di vedere ciò che stava succedendo?
Che cosa ha impedito di capire, a quelle persone benintenzionate a capire, che il «Mai più» risuonato per decenni nelle retoriche repubblicane delle Giornate della memoria, nelle celebrazioni del 25 aprile, negli affidamenti teatrali alla Costituzione fondata sulla lotta al nazifascismo, nella convegnistica sulla lotta partigiana e nell’Italia seminariale delle leggi contro l’odio, che cosa ha impedito loro di capire che quel «Mai più» era stato revocato e vilipeso non dall’azione di quei macellai ma dalla evidentissima, plateale, significativa sottovalutazione, altrove, di ciò che altrove stava succedendo immediatamente dopo quel che è successo là, e anzi ancora mentre là succedeva ciò che guardavamo?
Che cosa ha impedito a tutti loro di capire ciò che quel macello prometteva non già solo per ciò che era, non già solo per ciò che autonomamente squadernava in faccia al mondo, ma ciò che prometteva per come diffusamente e oscenamente ridondava nelle discussioni che senza suscitare scandalo, senza determinare immediata e intransigente ribellione, prendevano a indugiare sulle cause, sulla pregressa rispettività delle colpe, sulla inevitabilità del giudizio storico mentre si discuteva del discrimine fondamentale tra sgozzamento e decapitazione?
Che cosa ha impedito a quelle ottime persone, a quelle persone in genuino atteggiamento di volenterosa equanimità, di capire che ciò che montava nelle piazze delle rivendicazioni dei diritti degli oppressi non era protesta contro il presunto oppressore, ma orgasmo per la punizione che gli era stata inflitta?
L’impedimento era questo: la convinzione, ma direi meglio la sensazione, che quel «Mai più» potesse considerarsi rispettato giusto perché ancora non era stato tragicamente infranto, mentre si trattava di farne manutenzione sapendo, non dimenticando mai, mai e poi mai, che ulteriormente avrebbe potuto essere infranto.
Non c’era nessun dubbio, nessuno, che in modo radicalmente convinto le brave persone avessero mandato a memoria quel «Mai più» sulla constatazione, persino sull’acquisizione morale dello scempio che fu: ma era un errore di prospettiva, e quella loro repulsione si misurava appunto sull’orrore che fu e si scioglieva nella verifica che esso non era reiterato.
Un errore di prospettiva perché a confezionare e, soprattutto, a rendere temprato quello slogan non doveva essere la riprovazione del passato, come invece era, ma la razionale, spaventata e fattiva prospettazione, che invece non c’era, di un futuro in cui quel passato avrebbe potuto riproporsi. Erano voltate indietro, le brave persone che dicevano «Mai più» verso quel passato: e per questo non vedevano il futuro uguale che veniva loro incontro. Per questo non capivano le promesse che il presente stava facendo.
Per questo non capivano che non erano iperboliche bizzarrie quelle che immediatamente segnalavano la temperie – percepibile subito, percepibile immediatamente, percepibile a pogrom ancora in corso – che avrebbe fatto tracciare le stelle sulle case degli ebrei e che sarebbe fiorita in bocca alla stronza che strillava «Fuori i sionisti da Roma», vale a dire le minuzie sottovalutate, incasellate nell’episodicità di una fisiologia deplorevole ma niente più, e che a loro volta preparavano e promettevano gli assalti alle sinagoghe, le adunate filo-sgozzatori e la caccia agli ebrei negli aeroporti e negli alberghi, gli altri pogrom incompiuti solo per caso, non per resipiscenza degli attentatori né per l’esistenza di presidi protettivi, che finalmente inducevano le brave persone a dire: «Oddio, non avevo capito».
Per loro era inimmaginabile che potesse succedere, ed è vero: perché non vedevano che stava succedendo.