La politica cerca e in buona sostanza trova una inedita unità — ma era davvero il minimo sindacale — di fronte alla barbarie terroristica di Hamas, e di questo si avrà nelle prossime ore un segno in Parlamento con una mozione unitaria. Ma certo sotto la coltre della costernazione, accentuata dalla notizia che due italiani che erano in un kibbutz, mancano all’appello, forse rapiti, forse uccisi, c’è da fare i conti con una probabile risacca anti-israeliana che già prende piede in alcuni ambienti politici.
Ecco a Milano i Verdi chiedere che a palazzo Marino venga esposta accanto alla bandiera di Israele anche quella dei palestinesi mentre il Partito democratico vorrebbe quella arcobaleno, sulla scorta di quanto fatto a Roma da Roberto Gualtieri, una scelta furbesca per non lasciare da sola, come sarebbe logico, la bandiera di Israele.
In televisione poi è già scattata l’ora dei super-ambigui alla Toni Capuozzo che su Canale 5 ieri ha rilanciato la tesi di Sergej Lavrov che aveva affermato che ad Hamas sono finite le armi destinate a Kyjiv. A Otto e mezzo poi è andato in onda un piccolo festival guidato da Lilli Gruber con Lucio Caracciolo, l’ineffabile ex ambasciatrice Elena Basile («Israele potenza occupante» et similia) e Marco Travaglio, tutti preoccupati di quello che potrà fare il cattivo Israele (il direttore del Fatto ha detto che «non possiamo fare nulla», se non «smetterla di dividere il mondo in buoni e cattivi»: una bella analisi).
Ma a parte il teatrino mediatico, dal punto di vista della sinistra sta alla leader del Partito democratico Elly Schlein prendere la bandiera delle ragioni di un Paese violentato dalla cieca violenza dei terroristi palestinesi perché è il Pd, il partito più grande dell’opposizione e il più serio della sinistra, il luogo politico dove è maturato più che altrove quel senso della storia che non può non spingere a fianco di Israele.
È una bella prova anche per i dem, che hanno dietro le spalle lunghi decenni di sostegno ai palestinesi anche quando l’Olp di Yasser Arafat sabotava le prove di accordo faticosamente perseguite da Bill Clinton e Yitzhak Rabin e successivamente Ehud Barak. Adesso si è giunti all’orrore più assoluto che ha sconvolto l’opinione pubblica mondiale. Condanna di tutti, ma la risposta è molto fievole.
Stasera c’è una fiaccolata a Roma organizzata dal “Foglio” («Quella democrazia va difesa senza balbettare, senza indugi. E senza avere esitazioni nel riconoscere che da una parte c’è uno stato che difende il suo diritto di esistere (Israele) e dall’altra ci sono i terroristi islamisti (Hamas)», alla quale hanno aderito in tanti, da Giorgia Meloni al Pd. Il problema, sotto la coltre dell’unanime condanna del terrorismo, continua a essere la debolezza della protesta di pezzi della sinistra e di un pallido Giuseppe Conte, delle forze pacifiste laiche e cattoliche, sociali, sindacali, culturali.
E dalle prossime ore, quando sarà scattata in pieno la controffensiva israeliana nella Striscia di Gaza, è molto probabile che si leveranno alte condanne del Paese ebraico. Già in alcune scuole si muovono collettivi di studenti che apertamente inneggiano alla barbarie di sabato scorso verso i quali il ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, ha annunciato iniziative, non si è peraltro capito bene di che tipo.
Il Governo si muove con una certa fermezza. La presidente del Consiglio ha avuto un colloquio telefonico con Joe Biden, Olaf Scholz, Emmanuel Macron e Rishi Sunak (bene Meloni a restare agganciata ai leader democratici ma — lo scriviamo con cautela — non sappiamo cosa si agiti nella destra profonda, da sempre antisemita, già molto insofferente per l’atlantismo di Meloni).
L’emergenza mondiale che si è spalancata in queste ore e che è destinata a produrre conseguenze al momento imprevedibili ma certo di non breve durata ha messo in secondo piano i problemi del governo, che resta comunque alle prese con la predisposizione di una legge di Bilancio davvero difficile della quale si può dire con certezza una cosa sola: non ci saranno i soldi per realizzare, e nemmeno avviare, alcuna riforma. Lo sa il Governo, lo sa l’opposizione. Che si prepara a dare battaglia su due fronti, la Sanità (sulla quale l’esecutivo non metterà un euro in più), e il salario minimo, che il Governo è pronto a distruggere forte anche del parere del Cnel di Renato Brunetta. Mentre l’incendio divampa, non molto lontano dall’Europa.