L’americana Forrester Research nel suo recente report sul futuro del lavoro (“Future of Jobs Forecast 2022”) stima che entro il 2040 verranno persi nell’area APAC (India, Cina, Corea del Sud, Australia e Giappone) ben sessantatré milioni di posti di lavoro a causa dei processi di automazione in corso. Goldman Sachs nel suo “The Potential large Effects of AI on Economic Growth” (2023) stima che nei prossimi dieci anni a causa dell’Intelligenza Artificiale (AI) e dell’automazione verranno a mancare (o saranno «degradati») trecento milioni di posti di lavoro a livello globale, senza che ciò sia connesso a una decrescita economica, anzi con un aumento del Prodotto interno lordo globale del sette per cento (quasi sette trilioni di dollari!). La Banca Wells Fargo, in uno studio del 2019, ha concluso che i robot elimineranno duecentomila posti di lavoro nel settore bancario nello stesso arco temporale. Tali previsioni, peraltro in linea con altre meno recenti sullo stesso tema (Università di Oxford del 2013 o McKinsey Global Institute nel 2017) non possono che suscitare forte preoccupazione e sgomento.
Qualcuno però non la pensa così, come per esempio Andrew McAfee ed Erik Brynjolfsson, docenti al Mit di Boston. Essi hanno pubblicato nel 2017 (uscito in Italia nel 2020) il libro “Machine, Platform, Crowd” su come sfruttare al meglio il nostro futuro digitale. Un corposo volume denso di ottimismo: «I prossimi decenni potranno e dovranno essere migliori di tutti quelli vissuti finora dagli esseri umani. Non è una previsione; è una possibilità e un obiettivo. Nessun futuro è mai determinato in anticipo. Come gli individui tracciano la propria strada, così lo fanno le aziende, e così può farlo la società». Asseriscono, portando interessanti esempi, che nel mondo del lavoro non vi siano mai state prima d’ora così tante opportunità per persone con abilità, creatività e talento, capaci, in sostanza, di utilizzare la tecnologia (e farla crescere) combinata all’infrastruttura digitale globale per creare una prosperità largamente condivisa.
Interessante quanto Cognizant, colosso digitale americano che ha lanciato nel 2018 l’Indice Jobs of the Future (CJoF) che tiene traccia sia delle offerte di lavoro in generale sia di cinquanta figure lavorative del futuro (identificati da un proprio Center for the Future of Work) con particolare attenzione alle tendenze in otto settori: algoritmi, automazione e intelligenza artificiale (AAA); esperienza del cliente; ambiente; fitness e benessere; assistenza sanitaria; servizi legali e finanziari; trasporti e cultura del lavoro).
Il quadro che emerge è il seguente: da un lato da metà 2016 (l’inizio del periodo coperto dall’analisi dei dati CJoF) fino a metà 2021, l’Indice è cresciuto del settantotto per cento, sottolineando la vitalità di questi cinquanta posti di lavoro del futuro. Dall’altro (e qui la pandemia ha avuto il suo peso) i posti di lavoro in più rapida crescita si sono concentrati sulla salute e la sicurezza delle persone e sulla sostenibilità ambientale (vedi: Caregiver/Personal Care Aide: aumento del millecinquecentocinque per cento; Specialista in sostenibilità ambientale: più seicentosette per cento).
Altrettanto interessante è vedere cosa succede nell’industria manifatturiera americana vista dalla start-up californiana Zippia che utilizza l’apprendimento automatico e l’aggregazione di grandi masse di dati per creare la sua rivoluzionaria mappa di carriera, che aiuta le persone in cerca di lavoro a comprendere i percorsi lavorativi. Il CEO e co-fondatore Henry Shao afferma: «Internet può rispondere a quasi tutte le domande, come costruire una casa, come comprare un’auto o come trovare l’amore. Ma c’è pochissima guida affidabile disponibile online per scegliere una carriera, nonostante si tratti di una delle decisioni più importanti della vita. Questo è il motivo per cui abbiamo deciso di costruire una piattaforma che dia a tutti gli strumenti per trovare la carriera giusta».
Il centro Studi di Zippia ha rilasciato recentemente una ricerca sull’impatto dell’AI e dell’automazione sull’occupazione. Vi si legge come negli Stati Uniti i robot industriali aumentino di almeno quarantamila ogni anno facendo perdere, nel settore manifatturiero, venti milioni di posti di lavoro entro il 2030. Più in generale, allargando a tutti i settori, l’automazione ha il potenziale per eliminare settantatré milioni di posti di lavoro negli Stati Uniti entro il 2030, il quarantasei per cento più o meno dei posti di lavoro attuali. E pare ovvio che il trentasette per cento degli americani (che hanno un lavoro) si dichiarino preoccupati.
Il problema non è solo americano visto che la Cina ha installato duecentosessantottomila e duecento robot industriali solo nel 2021, più del cinquantadue per cento del totale dei robot industriali installati a livello mondiale. Ma, sottolinea il rapporto, l’automazione avrà anche un impatto positivo sull’economia. Una maggiore produttività porterà a un maggiore Pil, una maggiore spesa dei consumatori e a un aumento della domanda di lavoro. Si prevede che il Pil aumenterà di almeno il cinque per cento a causa dell’automazione, che equivarrebbe a un considerevole 1,2 trilione di dollari. Risorse da ben indirizzare per nuove e aggiornate politiche attive nel mondo del lavoro.
Sebbene l’automazione possa comportare l’eliminazione di settantatré milioni di posti di lavoro, si stima in contemporanea la creazione di cinquantotto milioni di nuovi posti. La perdita netta di quindici milioni non è certamente una buona notizia ma sempre meglio di vedere scomparire la metà dei posti di lavoro sul suolo americano.
D’altronde la domanda di (certi) posti di lavoro è altissima: secondo una recente ricerca del 2021 (su circa ottocento aziende manifatturiere americane) di Deloitte condotta con la collaborazione del The Manufacturing Institute di Washington, il quarantacinque per cento dei dirigenti dell’industria manifatturiera ha rifiutato opportunità di business per la mancanza di personale e il settantasette per cento prevede che ci saranno continue difficoltà nell’attrarre e trattenere i lavoratori.
Creatività, intelligenza emotiva e competenza Stem sono le caratteristiche che maggiormente abiliteranno a questa creazione di nuovi posti di lavoro ma Cognizant evidenzia come molte professioni tradizionali che rientrano nei settori dell’assistenza sanitaria, dell’istruzione, della gestione del personale e relative al mondo dell’arte avranno un bassissimo (quasi nullo) rischio di sostituzione. Ma, soprattutto in campo manifatturiero, sarà la stessa innovazione tecnologica e digitale ad aiutarci.
È lo sforzo in atto da parte della Purdue University (definita tra le Università più innovative degli Stati Uniti) con il supporto della National Science Foundation, dove le sessioni di insegnamento in presenza, apprendistato individuale, ore in aula, uso di manuali scritti e qualche video, saranno sempre più sostituiti da un paio di occhiali o visori legati alla realtà aumentata e virtuale chiamata Skill-XR (XR sta per «realtà estesa») che una volta indossati, grazie a una grafica 3D sovrapposta e all’AI, permetterà all’operatore di eseguire correttamente l’attività formandosi on-the-job in modo rapido, efficace e sicuro.
«Da bambini, impariamo facendo. Abbiamo tutti occhi, orecchie e mani. Raccogliamo oggetti e muoviamo le cose. Copiamo ciò che vediamo fare gli altri. Non c’è tecnologia coinvolta in questi processi; lo facciamo naturalmente. Con Skill-XR, stiamo migliorando quel processo in modo che le persone possano imparare facendo e non solo guardando. Ecco perché gli scienziati dell’apprendimento sono una parte così importante del nostro team», sostiene Karthik Ramani, professore di Ingegneria Meccanica alla Purdue University. Rispetto a uno scenario più o meno preoccupante sta man mano crescendo la consapevolezza che il tema centrale sarà ripensare il mondo del lavoro, l’interazione scuola-lavoro, nuovi stili manageriali e nuove tecnologie per l’apprendistato e la formazione.
Il cambio culturale di carattere generale è passare dalla creazione di nuovi posti di lavoro alla creazione di nuovi lavori. Per far questo si utilizzerà in pieno l’innovazione tecnologica e sarà necessario una profonda rivisitazione del rapporto scuola-lavoro e del rapporto lavoro-benessere (identificato come tendenza principale dell’ottanta per cento degli intervistati per lo studio Deloitte Global Human Capital Trends 2020).
Diventare digitali, sostenere l’ambiente, essere attenti al sociale, alla trasparenza e all’inclusione (DEI) e nuove modalità lavorative, sono un insieme articolato di esigenze e sensibilità dove nessuno può sentirsi escluso: le aziende, la politica, i sindacati, dovranno fare la loro parte coniugando tecnologia, benessere, risorse pubbliche e rispetto sociale.