«Ludopatia» è la parola del momento nel calcio italiano, e probabilmente lo è diventata troppo tardi e nel modo sbagliato. Nel corso della seconda settimana di ottobre, la stampa sportiva nel nostro paese è tornata a parlare di calcioscommesse, termine più che mai fuori luogo per lo scandalo che ha già coinvolto importanti nomi del calcio italiano – Nicolò Fagioli, Sandro Tonali, Nicolò Zaniolo – e che forse ne coinvolgerà presto molti altri. Fuori luogo perché questo non è un nuovo Totonero, cioè non è uno scandalo di giocatori che manipolano i risultati delle partite per ricevere denaro in giri di scommesse illegali. Per la prima volta abbiamo a che fare con calciatori che hanno un problema con il gioco d’azzardo.
Di ludopatia hanno parlato gli avvocati degli atleti implicati nello scandalo e anche i massimi dirigenti sportivi italiani, accorgendosi finalmente dell’elefante nella stanza. Secondo Francesco Baranca di Federbet, intervistato da Cadena SER, il novanta per cento dei calciatori scommette. Non necessariamente sul calcio, non necessariamente su siti illegali, ma scommette. Baranca ha precisato che si tratta di una sua impressione, ma che trova fondamento in quanto segnalato dagli psicologi: «Il profilo del calciatore è il più vicino a quello del giocatore d’azzardo. – ha spiegato all’emittente spagnola – Ha molto tempo libero, gli piace l’adrenalina, ha spirito di competitività e ha tanti soldi».
Che ci volesse uno scandalo – che potrebbe comportare lunghe squalifiche ad alcuni dei più importanti giocatori della nazionale azzurra – per arrivare a guardare in faccia questo tema, è in realtà il problema principale. Perché questo non è un tema inedito nel nostro paese: già il Decreto Dignità, voluto nel 2018 dal primo governo Conte, aveva vietato la pubblicità al gioco d’azzardo nelle manifestazioni sportive e culturali. Una legge che viene però costantemente aggirata, e che il mondo dello sport ha sempre criticato.
Il calcio non può fare a meno del betting
Negli scorsi giorni, in pieno scandalo scommesse, il presidente della Federazione italiana giuoco calcio (Figc) Gabriele Gravina ha dichiarato al Festival dello Sport di Trento che la ludopatia è «una piaga sociale» che va ben oltre i confini del calcio. Il ministro dello Sport Andrea Abodi gli ha subito fatto eco, sostenendo la volontà di combattere questo problema «anche con qualche scelta dolorosa». Il ministro per il momento non ha precisato ulteriormente quali contromisure, ma solo nel dicembre 2022 il modo in cui Abodi e Gravina affrontavano il tema delle sponsorizzazioni del betting era completamente opposto.
Il presidente della FIGC parlava apertamente di un «diritto sacrosanto» a scommettere, per giustificare la sua richiesta, sostenuta dal ministro, di superare il decreto Dignità del 2018, rimuovendo il divieto alle agenzie di scommesse di sponsorizzare le manifestazioni sportive. I dati diffusi dalla Lega di Serie A sostengono che il Decreto Dignità sia “costato” al calcio italiano oltre cento milioni di euro di sponsorizzazioni. Già porre la questione in questi termini è esemplificativo di come il contrasto alla ludopatia non sia mai stato considerato finora come una priorità dal mondo del calcio.
D’altronde, il famoso divieto alle pubblicità sulle scommesse esiste oggi più sulla carta che nella realtà, come sottolineato lo scorso maggio da Pagella Politica. Nel 2019, l’Agcom ha infatti precisato che i servizi informativi sulla comparazione delle quote non rientrano nelle attività vietate, ed è così che praticamente ogni programma sportivo in tv, giornale o sito d’informazione pubblicizza ora esplicitamente le scommesse legate al calcio o ad altri sport. Luigi Di Maio, che era stato tra i promotori del decreto, aveva annunciato un ricorso al Tar contro la decisione dell’Agcom, ma poi non ha mai proceduto. Nel frattempo, molti siti di scommesse si sono allargati diventando anche siti di news sportive, e hanno così potuto vedere riammesse le proprie pubblicità all’interno degli stadi. Il casinò online LeoVegas è addirittura tra gli sponsor ufficiali di Atalanta e Inter.
Contraddizioni e immobilità del sistema
Che la legge sul divieto di pubblicità alle scommesse vada rivista è sotto gli occhi di tutti, ma l’opinione della politica italiana è finora stata per lo più favorevole a un totale liberalizzazione del fenomeno, piuttosto che di un’ulteriore stretta. Una decisione in controtendenza con quello che succede, per esempio, nel Regno Unito, dove i club della Premier League inglese hanno concordato lo scorso aprile nel rinunciate il ricorso alle aziende di betting come sponsor principale sulle proprie magliette.
Scelta forse più facile per quello che è oggi il più ricco campionato al mondo, e più complicata per un calcio italiano che è costantemente alla ricerca di nuovi fondi per salvare i club sempre più indebitati. La riforma necessaria, quindi, dovrebbe essere molto più ampia. Allo sport italiano più seguito si chiede in realtà un profondo confronto con le proprie contraddizioni interne: ha senso punire dei calciatori per aver fatto esattamente ciò che tutto il loro ambiente spinge ogni altro cittadino a fare? È quello su cui si interroga Marco D’Ottavi su Ultimo Uomo.
Anche la morale sui giovani ricchi e annoiati che si rovinano la carriera per niente lascia drammaticamente il tempo che trova. I quattro calciatori al momento sotto indagine rientrano perfettamente nel profilo del comune giocatore d’azzardo, anche a livello anagrafico. I dati ci dicono infatti che il fenomeno della ludopatia è rapidamente in crescita soprattutto tra i più giovani. Simona Pichini, del Centro nazionale dipendenze e doping dell’ISS, segnala che il 10,4 per cento dei giocatori d’azzardo italiani di età compresa tra quattordici e diciassette anni è un giocatore problematico.
Nel 2020, un report di Nomisma indicava che il quarantadue per cento dei ragazzi italiani tra quattordici e diciannove anni gioca d’azzardo, e di questi il nove per cento sviluppa pratiche di gioco problematiche. Lo sport italiano sembra non avere tuttora piena consapevolezza del problema né delle proprie responsabilità a riguardo, al punto che il presidente della Lega di Serie A Lorenzo Casini ha posto la questione in un’ottica di educazione dei giovani al rispetto delle regole.