Di fronte al Parlamento norvegese, ormai da mesi, stazionano tende tipiche del popolo Sámi e, attorno a loro, sciamano giovani vestiti con il kofte, un vestito blu con ricami gialli e rossi, emblema della loro identità. Assieme a loro si è spesso vista Greta Thunberg. Anche la scorsa settimana, l’attivista svedese per la lotta al cambiamento climatico ha partecipato a Oslo a una protesta contro la presenza delle pale eoliche a Fosen, nella regione del Trøndelag.
Lo avessero detto quattro anni fa, nel mezzo del suo sciopero per il clima, non ci si sarebbe creduto: Greta Thunberg contro una fonte di energia rinnovabile. Tra l’altro, proprio ieri Thunberg è stata fermata a Londra durante un picchetto contro i colossi petroliferi.
Ovviamente, la questione è molto meno semplice di così e riguarda una serie di elementi legati allo stato di diritto e al rispetto dell’autodeterminazione del popolo Sámi, ma il risultato paradossale è che la paladina della lotta al cambiamento climatico si sia idealmente schierata contro una forma di energia rinnovabile e a favore dell’allevamento di renne, una pratica che comporta la macellazione di oltre settantamila esemplari all’anno, secondo l’organizzazione norvegese Matprat.
Pesa sulla sostenibilità anche l’utilizzo di motoslitte e talvolta di elicotteri da parte degli allevatori per gli spostamenti su lunghe distanze. A dispetto dei numeri e della sostenibilità, la macellazione di renne equivale a meno dell’uno per cento della produzione nazionale di carne.
A questo, si aggiunge un elemento legato alla narrazione della stessa Thunberg, che ha posto gli interessi dei popoli indigeni in cima alle sue prerogative.
Week 269. Today I’m joining Sámi youth to blockade and shut down the Norwegian state due to their violations of human- and indigenous rights. Read more on @NaturogUngdom and @nsr_nuorat (instagram) pic.twitter.com/PsGryfHkQN
— Greta Thunberg (@GretaThunberg) October 13, 2023
Breve storia del popolo Sámi
Per raccontare l’intera vicenda, bisogna andare con ordine e partire da un periodo molto lontano: l’allevamento e la pastorizia delle renne sono una delle attività che contraddistinguono l’identità dei Sámi, una popolazione indigena che abita le aree più settentrionali di Norvegia, Svezia, Finlandia e Russia, storicamente discriminata e soggetta a politiche di assimilazione che sono perdurate nel corso del tempo.
In Norvegia, i Sámi iscritti al registro della popolazione (e che quindi hanno diritto di voto negli organi di autogoverno) sono circa ventimila, ma alcune stime indicano che le persone con antenati Sámi potrebbero essere almeno il doppio. I Sámi sono la maggioranza della popolazione in cinque dei diciotto comuni che compongono la regione settentrionale del Finnmark.
Solo negli anni Sessanta le autorità norvegesi hanno concesso l’insegnamento della lingua Sámi nelle scuole e nel 1997 Re Harald ha riconosciuto la loro identità come componente della nazione norvegese in un celebre discorso, scusandosi per le pratiche di assimilazione.
Nel 2016 è stata avviata la costruzione di un parco eolico a Fosen, trenta chilometri in linea d’aria da Trondheim: il parco eolico di Fosen è il più grande d’Europa fra quelli situati sulla terraferma, produce 2,6 terawattora all’anno, che equivalgonoa circa il dieci per cento della produzione eolica italiana, ed è regolarmente in funzione dal 2021.
Renne e pale eoliche
L’area di Fosen è parte integrante del territorio di pascolo delle renne, un’area che corrisponde a circa il quaranta per cento di tutta la Norvegia. Per questo motivo, gli allevatori di renne si sono rivolti a un tribunale che nel 2020 ha riconosciuto un indennizzo di ottantanove milioni di corone (quasi otto milioni di euro) ai proprietari danneggiati dalla costruzione del parco eolico.
Pur trattandosi di una somma record, i proprietari di renne (e, per ragioni opposte, l’azienda statale Statkraft che gestisce il parco eolico) hanno presentato ricorso alla Corte costituzionale che ha riconosciuto una violazione della Convenzione Onu per i diritti civili e politici, dichiarando illegali gli espropri.
Il ministro per l’Energia Terje Aasland (dei Laburisti), subentrato pochi giorni dopo la sentenza dopo la vittoria del suo partito alle elezioni di due anni fa, ha assunto il ruolo di mediatore con l’obiettivo di trovare un accordo sulla compensazione da parte dello Stato per i proprietari di renne, ribadendo la propria posizione durante un’interpellanza della parlamentare socialista Kathy Lie la settimana scorsa. Sulla stessa linea d’onda è la leader dell’opposizione ed ex premier conservatrice Erna Solberg, sotto il cui governo erano state rilasciate le concessioni e avviati i lavori.
Re Harald riceve gli attivisti
«A Fosen è in corso una mediazione fra le parti e il dipartimento per il Petrolio e l’Energia ha preso iniziativa con un gruppo di lavoro guidato dal mediatore di Stato Mats Ruland. Sono felice che gli allevatori di renne abbiano deciso di partecipare. Credo che una soluzione mediata sia la via più rapida verso l’obiettivo di garantire il pascolo nell’area di Fosen e un futuro per i giovani allevatori. Per raggiungere una decisione definitiva è importante utilizzare una prospettiva generazionale», ha riferito il ministro Aasland in Parlamento.
A partire dal cinquecentesimo giorno dalla sentenza della Corte Costituzionale, gli attivisti Sámi hanno protestato duramente, arrivando ad occupare numerose sedi ministeriali nel mese di febbraio e la settimana scorsa il Parlamento.
Durante le precedenti occupazioni Greta Thunberg era stata allontanata dalla polizia, ma l’attivista svedese non ha desistito e ha partecipato anche alle più recenti iniziative, tornando a Oslo giovedì scorso. Lunedì si è tenuta un’udienza dei manifestanti con Re Harald, un incontro simbolicamente rilevante, ma che potrebbe avere una valenza politica nel caso il sovrano dovesse porre la questione durante uno di suoi incontri con il governo, programmati ogni venerdì.
Conflitto di interessi
A fianco dei Sámi si schiera l’organizzazione Natur og Ungdom (Natura e Giovani), di cui è coordinatrice Gina Gylver: «La mediazione in generale può essere una buona soluzione, ma in questo processo è basata su premesse errate», spiega la giovane attivista. «Lo Stato ha ignorato per oltre cinquecento giorni una sentenza della Corte Costituzionale e gli allevatori di renne sostengono di trovarsi di fronte a un muro, di non essere presi sul serio. Che lo Stato si sia inserito in questa trattativa crea uno squilibrio, specialmente quando sono coinvolti gli interessi economici delle aziende energetiche». La soluzione? «Noi siamo al fianco degli allevatori di renne e la loro volontà è la demolizione del parco eolico. Cambieremo la nostra posizione solo se la cambieranno loro».
C’è, tuttavia, il paradosso di un’organizzazione ecologista che protesta contro l’installazione di una fonte di energia rinnovabile: «La nostra società sta attraversando un enorme cambiamento, ma dobbiamo essere chiari sulle premesse: non è accettabile che la società del futuro sia costruita sulla violazione dei diritti umani», continua la coordinatrice.
«Il movimento ecologista spesso ha avuto difficoltà a difendere gli interessi dei popoli nativi e abbiamo cambiato il nostro atteggiamento perché essi sono doppiamente colpiti dai cambiamenti climatici, prima dai suoi effetti e poi dal fatto che devono farsi loro carico delle azioni da intraprendere per fermarlo», conclude Gylver.
L’impatto economico di un’eventuale demolizione è stato calcolato dal quotidiano Nettavisen, che ha stimato un costo di circa tre milioni di corone (circa duecentosessanta mila euro) per ogni esemplare di renna presente nell’area di Fosen in rapporto alle centocinquantuno turbine che andrebbero rimosse.