Nell’agenda di Wopke Hoekstra, nuovo commissario per il Clima dell’Unione europea, il prossimo appuntamento è la Cop28, la ventottesima conferenza Onu sui cambiamenti climatici, che si terrà a Dubai dal 30 novembre al 12 dicembre 2023. Sarà lui, infatti, a rappresentare la delegazione dei ventisette Stati membri, che parteciperanno anche come singoli Paesi. Sul tavolo delle trattative la posizione di Bruxelles sarà fondamentale.
A un mese dall’inizio dei negoziati – un’infinità di tempo per il precario assetto geopolitico mondiale – le aspettative sull’esito della Cop28 sono minime. La speranza resta comunque un accordo che possa nei fatti contribuire ad affrontare l’emergenza climatica nella maniera più equa possibile.
Hoekstra ha rilasciato una serie di dichiarazioni da leggere come un biglietto da visita dell’Ue a Dubai. «L’Unione europea deve accelerare nella riduzione delle emissioni di gas serra, in particolare nel settore agricolo», ha detto commentando l’ultimo rapporto sullo stato dell’energia in Ue (“State of the Energy Union Report”) pubblicato a ottobre 2023. «Nel mandato della Cop28, tutti gli Stati membri hanno concordato che i sussidi ai combustibili fossili che non affrontano né la povertà energetica né la transizione equa, devono essere eliminati prima possibile».
A spiegare la posizione negoziale europea è Federico Tassan-Viol, esperto di diplomazia climatica per Ecco, centro studi italiano per il clima. «L’Unione è il modello di riferimento globale per la lotta al cambiamento climatico: la delegazione dagli obiettivi più ambiziosi. A Dubai dovrà cercare di stringere alleanze con i Paesi africani per avere un peso anche nei negoziati di Dubai».
Andiamo con ordine. Le cose da sapere sono: come è andata la precedente Cop27 di Sharm el-Sheikh e che ruolo ha avuto l’Ue nell’esito del ventisettesimo negoziato. L’accordo firmato in Egitto prevede un fondo di compensazione “Loss and damage” (perdite e danni) per i Paesi a basso reddito più esposti agli effetti del cambiamento climatico e l’impegno generale a rispettare il limite di 1,5 gradi di aumento della temperatura media globale rispetto al periodo preindustriale.
A sbloccare le condizioni che hanno permesso l’istituzione del fondo era stata proprio l’Unione europea. Alla Cop28 bisognerà decidere come renderlo operativo: quanti soldi verranno dati, come si recupereranno, a chi e a quali condizioni. Il Consiglio economia e finanza dell’Ue (Ecofin) si è riunito prima dei negoziati di Dubai. Risultato? Sostegno al fondo di compensazione, ma nessuna decisione dettagliata in materia: «Se ne discuterà a Dubai», spiega Tassan-Viol.
Prima della creazione di un fondo “Loss and damage”, l’accordo della Cop15 del 2009 aveva promesso per l’adattamento al cambiamento climatico dei Paesi meno sviluppati un finanziamento annuale di cento miliardi di dollari fino al 2020. La quota non è mai stata raggiunta: nell’ultimo anno dell’accordo, ad esempio, Ue e Stati membri hanno stanziato solamente 23,4 miliardi di euro.
Dal punto di vista della mitigazione – che nel linguaggio della diplomazia climatica significa riduzione delle emissioni di gas serra – quello della Cop27 è stato un anno perso. L’accordo di Sharm el-Sheikh non fa alcun riferimento alla possibilità di abbandonare i combustibili fossili, causa principale delle emissioni di gas serra e quindi del riscaldamento globale. L’assegnazione della successiva Cop agli Emirati Arabi Uniti ha suscitato molte polemiche per il conflitto di interesse che il Paese del golfo ha con il settore oil and gas. Il trenta per cento del Pil dello Stato, per rendere l’idea, è generato dall’industria delle fonti energetiche fossili.
Il presidente designato della Cop, Sultan Ahmed Al-Jaber, che tra gli incarichi ricopre anche quello di amministratore delegato della principale azienda petrolifera nazionale – l’Abu Dhabi national oil company (Adnoc) – ha presentato i suoi obiettivi per l’evento: «A responsible phase down of unabated fossil fuels», cioè una riduzione graduale dei combustibili fossili non trattati.
È proprio il termine «unabated» a concedere la possibilità di continuare a usare gas, carbone e petrolio, a patto che le emissioni di carbonio della loro combustione vengano in qualche modo catturate e sottratte all’atmosfera. Il consiglio per l’Ambiente dell’Unione ha invece deciso per il «phase-out» (abbandono) dei combustibili fossili che non hanno sistemi di cattura del carbonio. Se la partita a Dubai si giocherà sulla riduzione o sull’abbandono dei vecchi sistemi energetici, il compromesso sarà comunque quello della cattura del carbonio. «Ma è una tecnologia ancora immatura. Fare investimenti in questo settore è più costoso che farli per la transizione verso le energie rinnovabili», sostiene Tassan-Viol.
In tema di mitigazione, è in programma anche la riduzione delle emissioni di metano, un altro gas a effetto serra responsabile del riscaldamento globale. In particolare, l’attenzione è puntata sul miglioramento dell’efficienza dei processi di estrazione, raffinamento e trasporto dei combustibili. A tal proposito la Commissione europea sta valutando di limitare dal 2030 le importazioni di gas da Paesi che non adottino sistemi di produzione ottimizzati in grado di rispettare un limite-soglia di emissioni di metano. Una mossa che metterebbe pressione ai fornitori internazionali di combustibili fossili dell’Ue, tra cui Stati Uniti e Algeria, affinché riducano le perdite di questo gas. I Paesi membri e i legislatori europei stanno cercando di raggiungere un’intesa definitiva prima del negoziato Onu.
Altra questione di cui si discuterà alla Cop28 sarà quella dei sussidi pubblici ai combustibili fossili, soprattutto i crediti all’esportazione. I Paesi dell’Ue che usano ancora il carbone come principale fonte energetica – o quelli del G20 come il Sudafrica – sono reticenti in merito. Comunque, spiega Tassan-Viol, la posizione dell’Ue sui sussidi prevede delle eccezioni che tengano conto della sicurezza e della povertà energetica. Certo è che la percentuale di energia prodotta da fonti rinnovabili dovrà continuare ad aumentare. Alla Cop di Dubai si farà la prima valutazione dei progressi compiuti dai Paesi rispetto agli impegni di riduzione delle emissioni. «Sono necessari sforzi maggiori e più ambizione per raggiungere gli obiettivi dell’accordo di Parigi», conclude Tassan-Viol.