Profezia di sventuraL’inesorabile sentimento antisemita globale dopo il pogrom del 7 ottobre

Purtroppo solo pochi hanno avuto la freddezza di capire subito che avremmo assistito a un’incessante comunicazione pro Hamas e alle stelle di David dipinte sui muri

LaPresse

Non serviva nemmeno lungimiranza. Chi aveva occhi per vedere, chi aveva abbastanza intelligenza per capire, freddezza sufficiente per stare attento, senza farsi distrarre da erronee speranze contrarie, alle nove di mattina del 7 ottobre sapeva già tutto. Tutto. Sapeva delle prime pagine goebbelsiane che sarebbero state pubblicate il giorno dopo e tutti i giorni dopo. Sapeva delle sinagoghe che sarebbero state assaltate e dei cimiteri incendiati. Sapeva delle stelle e delle svastiche che sarebbero state dipinte sulle case e sui negozi. Sapeva dei cortei “per la pace” che sarebbero culminati nel grido antifascista «Fuori i sionisti da Roma”».

Sapeva degli aeroporti e degli alberghi trasformati in riserve di caccia all’ebreo. Sapeva delle pietre d’inciampo abbruciate. Sapeva del liceo romano in cui il professore avrebbe appiccicato la stella al ragazzino e sapeva della stampa che avrebbe reclamato garantismo per quel docente.

Sapeva del maiale dell’Onu secondo cui il 7 ottobre non viene dal nulla. Sapeva delle avvocatesse farlocche che avrebbero celebrato il diritto alla resistenza degli sgozzatori. Sapeva che lo slogan “dal fiume al mare”, nel giro di qualche settimana, avrebbe cessato di essere il vagheggiamento dei terroristi e si sarebbe trasformato nel legittimissimo programma accreditato dal collaborazionismo pacifista. 

Sapeva della grande battaglia democratica rivolta a dimostrare che un conto è tagliare la gola a un neonato e un altro conto è decapitarlo. Sapeva che un conto sarebbe stato stracciare i volantini con le facce degli ostaggi e un altro conto sarebbe stato rimuoverli e deporli nella monnezza. Sapeva che l’orgasmo di indifferenza del pacifista per il massacro del 7 ottobre sarebbe finito nell’erezione dello sdegno per i civili uccisi, ma a patto che potesse chiamarsi genocidio, a patto che ci fossero ospedali e chiese attaccati per la deliberata intenzione di sterminare chi ci è dentro, a patto che il crimine fosse riferibile a una condotta terroristica, come quella della controparte che però è resistenza. 

Sapeva che il culmine dell’infamia di oggi avrebbe domani fatto da base per un’infamia supplementare e più grande. Sapeva che sapere tutto questo non sarebbe servito a nulla, se non a sapere che tutto questo tempo, tutto il tempo delle retoriche «Mai più», come si sapeva, è passato per nulla.

Una cosa tuttavia avrebbe potuto sperare chi avesse guardato allo scempio del 7 ottobre, e a tutto ciò che prometteva, con la necessaria avvedutezza: avrebbe potuto sperare che non sarebbero stati così pochi a vedere e dunque a sapere. Perché sapeva che, se non fossero stati così pochi, le promesse del 7 ottobre, almeno le più indecenti, non sarebbero state mantenute.

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