Non sarebbe necessario parlare del triste e piccolo caso dei manifesti degli ostaggi israeliani finiti l’altro giorno in un bidone della spazzatura davanti ai banchetti di Amnesty International se si trattasse soltanto di un triste e piccolo caso. Le giustificazioni offerte dai responsabili della costola italiana di quell’organizzazione, dopo quelle diffuse dai giovanotti presenti nella flagranza del caso («Vuie i manifesti l’avete dati, poi la ggente ne fa chillo che vvuôle», cioè ‘sticazzi) potrebbero vantare qualche ineccepibilità se non insistessero su una situazione, diciamo così, un po’ particolare. Il plenipotenziario italiano, certo Riccardo Noury, ha dichiarato che i manifesti – sventolati da un attivista «aggressivo» – non potevano essere messi sui banchetti di Amnesty perché questa non adopera documenti di «altri gruppi», e per ciò il «materiale» è stato «rimosso e deposto in un cestino». Non stracciato, dunque, o non «volutamente» (così spiega Amnesty), dal personale di Amnesty.
Il presupposto dichiarato è che Amnesty, come non ha accettato il «materiale» costituito dalle facce degli uomini, delle donne e dei bambini rapiti dalle belve del 7 ottobre, così non avrebbe accettato documentazione fotografica dei civili uccisi dai bombardamenti né (questo lo aggiungiamo noi) aggressive rappresentazioni dello sterminio dei pellerossa.
Ora, una breve rassegna dei “lanci” social in cui anche solo negli ultimi giorni si è impegnata Amnesty italia rivela qualche inaderenza rispetto a quella proclamata linea di condotta: vedi, per esempio, le fotografie di mamme coi bambini in braccio tra le macerie, a guarnizione del titolo «Cessate il fuoco!»; vedi, ancora, il rilancio degli articoli e delle foto del Fatto Quotidiano (evidentemente non è «un altro gruppo») a proposito delle «torture e detenzioni arbitrarie dei palestinesi da parte di Israele»; vedi le locandine di promozione del libro di Patrick Zaki, quello che Netanyahu è un serial killer, che ancora una volta non sarà stato materiale di «un altro gruppo» e dunque non meritava la deposizione dinto ‘a munnezza.
Ma, pure lasciando perdere queste divaricazioni di condotta, forse si potrebbe osservare e domandare banalmente quanto segue: ma non vi fa proprio nessun effetto che le immagini di quegli uomini e donne e vecchi e bambini, rapiti dai macellai sulla scena degli eccidi, degli sgozzamenti, delle decapitazioni, degli stupri, dei cadaveri ricoperti di sputi e piscio e merda, non vi fa nessun effetto, non vi ripugna che siano «rimosse e deposte in un cestino?». Non vi dice nulla di voi stessi il fatto che non avvertiate la portata maestosamente e oscenamente simbolica di quel gesto, tanto più insultante, tanto più carico di macabra violenza, per come pretende di ispirarsi a un ordinario adempimento di equanime apparecchiatura dei banchetti?
Non è un piccolo e triste caso. È dove finisce il 7 ottobre grazie all’esegesi storicizzante e all’equidistanza: nella spazzatura.