Il negazionismo dello sterminio e delle persecuzioni degli ebrei – mai cessato e sempre diffuso, per quanto in modalità quiescente – ha sempre rappresentato un fenomeno da trivio, o tutt’al più materia di convegno e di produzione editoriale per pochi pervertiti. Violenti e potenzialmente pericolosi, spesso, ma in ogni caso screditati, indesiderabili, impresentabili nei luoghi decenti.
Il pogrom del 7 ottobre è insieme il frutto e la causa di un cambio di connotati di quel fenomeno: perché la disputazione sul discrimine tra sgozzamento e decapitazione, le obiezioni avvocatesche che rinfacciano il difetto probatorio circa il numero, l’età, il colore di capelli e la specchiatezza democratica delle stuprate, la liquidazione del rapimento di centinaia di civili al rango della routinaria e ineluttabile vicenda di qualunque conflitto, illustrano un’evoluzione tanto raccapricciante quanto chiarissima di un andazzo razzista non soltanto sempre più disinibito, ma che appunto ha guadagnato pubblica accettazione e condivisione, se non favore.
Ho già scritto qui del fatto che la censura di attenzione per le immagini dell’orrore perpetrato dalle belve del 7 ottobre fosse motivata molto poco dalla comprensibile riluttanza a guardare quelle atrocità, e molto più da una pulsione negatoria che destituiva di verità la vita e la morte delle vittime e scriminava nell’oblio la responsabilità dei massacratori. Ma è sempre più chiaro che qui si tratta di un meccanismo più vasto, un sistema con ingranaggi di psicologia sociale che producono e tengono in moto abitudini anche più gravi rispetto agli occhi chiusi sulle immagini di quell’orrore.
Qui si tratta – e il fatto che non si capisca è il segno di quanto sia grave e avanzato l’ammaloramento della comune fibra civile – del ripudio della verità non più a proposito delle camere a gas di quasi un secolo fa, descritte come saune disinfettanti in qualche libercolo di un povero disadattato: si tratta della plateale e pubblica legittimazione di qualsiasi sproposito menzognero e contraffattorio in omaggio al «pluralismo», al «diritto di manifestare», alla «libertà di insegnamento». E pace se queste cose, in democrazia, si tutelano mentre si cura che l’opinione pubblica sia libera, non pervasa, dalla censura e dalla menzogna. Libera di scegliere anche la menzogna, ovviamente, ma a patto che la menzogna non faccia stato sulla verità, a patto che questa non sia rimossa dalla censura.
La verità è Bucha, non «l’operazione speciale» per mettere gente perbene al posto dei drogati e degli omosessuali di Kyjiv. La verità è la mostruosità del pogrom del 7 ottobre, non «il 7 ottobre non viene dal nulla». La verità è l’orrore censurato e la verità è la malafede, la colpa, la complicità di chi lo censura.
Sono anche vere, tragicamente e inaccettabilmente vere, le vittime civili dei bombardamenti. Ma tanti, tra quelli che fanno mostra di curarsene, sono i responsabili del negazionismo di cui abbiamo detto: una cosa che contamina la verità del loro interessamento.