Le fotografie e i resoconti audio e video del 7 ottobre sono interessanti non solo per quel che mostrano, ma per le reazioni che suscitano. Documentano infatti che ci sono due modi di reagire alle immagini dell’orrore, due motivazioni psicologiche e morali che spiegano la ripugnanza per la rappresentazione di quella violenza indicibile. C’è chi non ne tollera la visione perché vedere quel male gli fa troppo male, e perché ritiene che diffonderne l’immagine sia pornograficamente irrispettoso (oltre che possibile strumento di emulazione e soddisfazione per i fanatici). Ma non è tutta la platea.
C’è infatti anche chi distoglie lo sguardo da quelle immagini per tutt’altro motivo, e cioè perché esse lo obbligano a una responsabilità e a un dovere di condanna che non ha la voglia o la forza di assumere: la visione di quel male – ma ben diversamente rispetto a chi non sopporta di vederlo perché ne soffre troppo – lo “infastidisce”. Perché molesta il suo desiderio di vedere confuso quel male in una complessità ineffabile. Perché toglie fiato alla frase pacifista che non ha bisogno di indugiare sui dettagli del male giacché si fa carico di tutto il male del mondo. Qui e altrove ho più volte indugiato, volutamente, e ogni volta provando ribrezzo nel farlo (spiego tra poco quel senso di ribrezzo), su alcune delle immagini del 7 ottobre.
La belva che infila un palo di ferro nel cranio di un cadavere trascinato nella polvere, passando per le parti molli, due volte, prima piantandolo in un occhio, poi nell’altro; quella più vista e circolata, la ragazza che sbrodava sangue dai genitali, strattonata e caricata sulla jeep e onorata nelle interviste del giornalismo pluralista, quello che doverosamente concede voce a tutti, secondo cui non era mica una qualunque donna rapita – macché! – era un soldato: non lo sapete che in Israele fanno il servizio militare anche le donne? Questo abbiamo dovuto sentire.
Avrei potuto indugiare su tanto altro. Sul campo in cui i combattenti per la libertà del popolo oppresso prendono dei ragazzini, dei bambini, e li fanno inginocchiare, e i bambini implorano i macellai, e i macellai li uccidono, uno a uno, tutto nelle immagini che il pacifista infastidito non vuole vedere, le immagini che fanno la festa, che fanno la vittoria, che fanno la gioia di chi preconizza il futuro «dal fiume al mare» senza che il pacifista dica un cazzo di niente.
Dicevo poco sopra che mi fa ribrezzo scrivere di queste cose indugiando sui particolari di queste cose. Mi fa ribrezzo la pace a costo di queste cose. Mi fa ribrezzo la pace indipendentemente da queste cose. Mi fa ribrezzo chi vuole essere lasciato in pace da queste cose.