Mai più?Se nessuno si offende, forse il tentativo di linciare degli ebrei in quanto ebrei si può definire antisemitismo

In un aeroporto russo domenica una folla armata ha dato la caccia ai passeggeri di un volo proveniente da Israele, al grido di «Allah akbar» e «uccidete gli ebrei». Ma nemmeno questo episodio, a quanto pare, si può chiamare con il suo nome

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Quando sentiamo dire che non bisogna confondere le dimostrazioni di solidarietà verso la Palestina con l’antisemitismo diamo per scontato che la distinzione sia a tutela del buon nome dei manifestanti e della loro causa, in polemica con chi vorrebbe screditarla, equiparando legittime mobilitazioni politiche all’istigazione all’odio e alla violenza. Distinzione su cui dovremmo essere tutti d’accordo.

Ma come dobbiamo reagire di fronte al caso perfettamente speculare, in cui cioè è la più classica manifestazione di antisemitismo, la caccia agli ebrei, l’inseguimento di persone colpevoli solo di essere identificate come tali da parte di una folla inferocita – cioè esattamente quello che è accaduto domenica notte in un aeroporto del Daghestan, nella ridente federazione russa – a essere definito «una protesta contro l’arrivo di un volo da Israele» da parte di manifestanti pro Palestina?

«E la notte dei cristalli era una protesta contro le finestre», ha commentato Garry Kasparov su Twitter, X o come si chiama adesso. Come dissidente russo, del resto, il grande scacchista ha una certa esperienza nell’uso orwelliano della lingua.

Si tratta peraltro di un caso che ha coinvolto il meglio della stampa occidentale, dall’Associated Press («Folla prende d’assalto un aeroporto russo per protestare contro il volo proveniente da Israele») a fior di giornali e telegiornali italiani, che in parte si sono limitati a tradurre il titolo dell’Ap, in parte hanno aggiunto surreali dettagli sulla folla che – sempre «per protestare», s’intende – se ne va «alla ricerca dei passeggeri dell’aereo», neanche volesse controllare i loro biglietti.

Ecco, in un caso del genere, secondo voi, chi vorrebbe screditare chi? E per quale motivo? Che cosa spinge tanti autorevoli organi di stampa, per giunta in un tempo così attento alle parole e alla sensibilità di tutti, a chiamare «protesta» un tentativo di linciaggio in piena regola?

Davanti alle telecamere dell’aeroporto (e degli stessi assalitori) ha sfilato una folla con in mano armi, pietre e bandiere palestinesi, gente che gridava «uccidete gli ebrei» e «diteci dove sono gli ebrei», oltre all’immancabile «Allah Akbar». Siamo sicuri di voler utilizzare, per questo genere di cose, gli stessi termini e gli stessi concetti che abbiamo utilizzato per commentare le manifestazioni degli ultimi giorni?

Certo che no, ovviamente. Ci mancherebbe. Benissimo. Permettetemi allora di rivolgervi, nella forma più neutra che mi è possibile, una seconda domanda: come ve lo spiegate? Da cosa nasce l’impulso, l’istinto, il bisogno di non chiamare linciaggio, pogrom, caccia agli ebrei, quella che è a tutti gli effetti e inequivocabilmente una caccia agli ebrei?

E già che ci siamo: perché mai di un fatto tanto clamoroso si è parlato non solo così male, ma anche così poco? Ecco uno spunto interessante per qualche articolo giornale, ma forse anche per un tema, magari proprio in quel liceo romano in cui un professore ha proposto ai suoi studenti, come traccia sul conflitto in Medio Oriente, le posizioni di un compagno di classe italo-israeliano, citandolo per nome e cognome. La cosa più grave, però, è il modo in cui l’insegnante ha risposto a una domanda di Repubblica sui sentimenti del ragazzo, da lui messo alla gogna in quel modo: «Si sente scosso? Anche io, perché c’è un genocidio in atto». Si direbbe una rivendicazione.

Nel frattempo, a Parigi, lunedì notte, su una sessantina di edifici del quattordicesimo arrondissement qualcuno ha dipinto un gran numero di stelle di David. Anche lui, immagino, per protestare contro le atrocità del regime nazista di Tel Aviv.

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