In Italia si parla ancora poco di eolico offshore. Potenzialmente siamo la terza nazione europea per capacità installata (la potenza massima erogabile autorizzata di un impianto di generazione), ma a causa della burocrazia, secondo le ultime stime, abbiamo a regime solo trenta megawatt. Un dato lontanissimo dagli otto gigawatt della Germania, il termine di paragone per l’eolico, e distante da altri Paesi come Svezia, Finlandia, Francia e Regno Unito. «È importante lanciare al governo l’allarme su questo tema. Abbiamo una grande opportunità che possiamo raggiungere, ma l’Italia rischia di non raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione che ci ha richiesto l’Unione europea», spiega Fulvio Mamone Capria presidente di Aero, l’associazione delle energie rinnovabili offshore, nata per dare una voce unica e organizzare il know how necessario per sviluppare questo mercato.
Come ogni innovazione, anche l’offshore è accompagnato da qualche critica infondata sul suo impatto sulla fauna marina. Quest’anno lungo la costa atlantica degli Stati Uniti sono state ritrovate delle balene spiaggiate. I parlamentari Repubblicani hanno dato la colpa alle pale eoliche installate a largo delle coste, ma non ci sono prove che l’eolico offshore abbia un impatto negativo sulla fauna marina. «I repubblicani hanno cercato un capro espiatorio. Il possibile impatto ambientale è forse nella fase di montaggio e incatenamento delle piattaforme galleggianti. Ma i nostri modelli dimostrano che questo impatto, pur dando fastidio alla macro fauna, non è superiore all’attuale disturbo che già subiscono questi animali nel Mediterraneo».
L’impegno di tutti i Paesi europei è di riuscire a proteggere il Mediterraneo. «Questi progetti, oltre a produrre una grandissima quantità di energia per illuminare le nostre case, le nostre industrie, serviranno anche a produrre idrogeno e potranno contribuire a ricreare degli habitat importanti. Insieme ai pescatori abbiamo la missione comune di difendere il mare, perché attraverso la costruzione dell’eolico offshore, secondo i nostri dati scientifici, gli stock ittici possono aumentare lì dove nasce un nuovo impianto, quindi i pescatori ne potranno soltanto beneficiare».
Per raggiungere questi obiettivi andrebbe alleggerita la burocrazia: «Abbiamo la necessità che tra il ministero dell’ambiente, il ministero delle infrastrutture, dell’Agricoltura, degli Affari regionali e degli Esteri ci sia un coordinamento vero. Alcuni anni fa siamo partiti con l’acquisizione come acque del demanio marittimo di alcuni specchi acquei. Ma nel corso del tempo questo tipo di autorizzazione potrebbe non bastare se non si arriva a una definizione chiara di questa pianificazione marittima. L’invito che stiamo rivolgendo al ministro Pichetto è quello di trovare un momento di coordinamento per evitare di avere ulteriori lungaggini a degli scenari già burocratici e difficili. Vogliamo evitare di accumulare ritardi. Sono progetti che riguardano investimenti di miliardi di euro, scenari occupazionali straordinari e la possibilità di un riscatto industriale di aree di crisi».
C’è un altro problema che potrebbe fermare una diffusione dell’eolico offshore ma che potrebbe essere risolto grazie all’innovazione tecnologica riguardo le piattaforme galleggianti. Questo rimuoverebbe la necessità di ancorare le pale con fondazioni fisse al fondale marino. «Il galleggiante è stata una rivoluzione per il Mediterraneo – commenta Mamone Capria – perché ci troviamo di fronte a dei fondali molto profondi quindi è una tecnologia abbastanza matura che ovviamente stiamo cercando di sviluppare. L’innovazione è sempre dietro l’angolo. A fronte di una costruzione di un galleggiante importante servono quantità di acciaio notevoli. Proprio per questo l’invito al nostro Paese è quello di diventare un attore principale anche nella fornitura dell’acciaio. E questo è uno degli emendamenti che dovrebbe essere contenuto nel decreto energia che speriamo il Governo porti a breve in Consiglio dei ministri. Oggi non abbiamo dei porti che sono stati strutturati per poter costruire queste grandi opere, quindi è importante che ci sia questo emendamento nel decreto energia e vada a individuare quelle che sono le possibili aree portuali dove poter costruire questa grande infrastruttura che poi viene accompagnata in mare. Quindi le potenzialità ci sono tutte ma serve un vero coordinamento».
Nessuna impresa piccola, media o grande italiana deve stare fuori da questo grande processo rivoluzionario. «Noi abbiamo più di settanta progetti presentati per realizzare impianti di eolico offshore in Italia, forse non li realizzeremo mai tutti, ma una gran parte sì e noi immaginiamo di raggiungere almeno otto-dieci gigawatt al 2030- 32. Significa produrre il sette, otto per cento di fabbisogno elettrico nazionale e riuscire a sconfiggere qualsiasi dipendenza da Paesi che potrebbero creare delle oscillazioni in questo momento. Di fronte a questa grande avventura, i nostri grandi esperti che hanno lavorato per competere nel sistema delle piattaforme petrolifere e del gas in tutto il mondo, sono pronti. Oltre al coordinamento, per evitare la burocrazia, per snellire le norme che rallentano questo processo, sarebbe importante la formazione delle figure che dovranno assistere questi progetti. AERO sta chiudendo dei protocolli di intesa per avviare i primi corsi di formazione a personale che uscirà dagli istituti tecnici e che potrà lavorare in una. In una seconda fase, nella vera e propria realizzazione serviranno anche decine centinaia di laureati in tutte le scienze, biologi, ingegneri, architetti, esperti di economia. Un progetto di eolico offshore può rappresentare veramente un’opportunità per questo Paese nel competere ampiamente rispetto ad altre fonti di rinnovabili» conclude il presidente di AERO.