Nichel in montagnaI metalli pesanti della Prima guerra mondiale contaminano le acque e minacciano gli insetti

I residuati bellici fanno capolino dai ghiacciai in fusione a causa del riscaldamento globale. Un potenziale rischio per l’ecosistema che dovrebbe spingere le amministrazioni a monitorare le acque d’alta quota: una pratica finora ignorata

Matassa di filo spinato in Presena (Courtesy of Muse)

Bombe, fucili, rotoli di filo spinato, munizioni: i ghiacciai alpini hanno conservato per oltre un secolo i residuati bellici della Prima guerra mondiale. Ma mentre le masse glaciali si ritirano inesorabilmente, i metalli utilizzati in questa artiglieria militare (come arsenico, antimonio, rame, ferro, piombo, nichel, stagno e zinco) finiscono nelle acque di fusione e vengono assorbiti dai chironomidi, gli unici moscerini acquatici in grado di abitare i gelidi torrenti glaciali. 

È questo il risultato emerso da un recente studio pubblicato sulla rivista scientifica internazionale Chemosphere e condotto dal Muse – Museo delle scienze di Trento in collaborazione con l’università dell’Ohio e con il sostegno della Fondazione Cogeme Ets di Rovato, in provincia di Brescia. Diversi studi in passato avevano già evidenziato tracce di contaminazione da metalli nelle acque dei luoghi della Guerra Bianca, come viene chiamato l’insieme di eventi militari e scontri tra Regno d’Italia e Impero austro-ungarico avvenuti tra il 1915 e il 1918 sulle Alpi, soprattutto Dolomiti, Ortles-Cevedale e Adamello-Presanella. «Non era mai stato dimostrato, però, che questi metalli poi entrassero nella catena trofica», spiega Valeria Lencioni, ricercatrice e coordinatrice dell’Ambito Clima ed Ecologia del Muse. 

Da quando la crisi climatica ne ha accelerato lo scioglimento, dai ghiacciai alpini affiorano annualmente numerosi residuati bellici della Prima guerra mondiale. Solo nell’agosto 2022 sul gruppo dell’Adamello e del Presena, tra i duemilacinquecento e i tremila metri di quota, sono stati rinvenuti e bonificati circa novecento proiettili di artiglieria di medio e grosso calibro. Lo studio del Muse si è svolto in tre ghiacciai trentini notoriamente interessati dalla presenza di questi reperti: il Presena e l’Amola, sul gruppo montuoso della Presanella; e il Lares, sul versante nord-est del gruppo dell’Adamello. 

I ricercatori hanno condotto l’analisi chimica delle acque di fusione di questi ghiacciai e hanno cercato tracce della contaminazione da metalli pesanti nelle larve di insetti che le popolano, tutti appartenenti al genere Diamesa. Nelle acque sono stati effettivamente osservati arricchimenti, da bassi a moderati, per antimonio e uranio nel torrente Presena e per argento, arsenico, bismuto, cadmio, litio, molibdeno, piombo, antimonio e uranio nel torrente Lares. 

Anche le larve del moscerino Diamesa zernyi prelevate da questi torrenti hanno mostrato accumulo di diversi elementi, con una concentrazione fino a novantamila volte superiori rispetto a quelle dell’acqua. Alcuni degli elementi rinvenuti sono in realtà essenziali per la vita, come rame, nichel e zinco: le concentrazioni osservate nelle larve dei siti più contaminati, però, superano quelle attese per il loro fabbisogno.

«I moscerini che abbiamo studiato sono gli unici insetti che riescono a colonizzare le gelide acque dei torrenti glaciali, dove le condizioni ambientali sono considerate estreme per la vita», spiega Lencioni. Questi insetti, a rischio di estinzione perché la crisi climatica sta modificando le condizioni del loro habitat, si nutrono probabilmente dei batteri che crescono sulla roccia, mentre le larve hanno l’intestino pieno di limo glaciale che fissa sulla propria superficie i metalli e li può così veicolare nel corpo dell’animale. «I dati raccolti destano preoccupazione soprattutto per il nichel, che è accumulato in una concentrazione vicina a quella considerata critica per la sopravvivenza di altri insetti testati in laboratorio», prosegue Lencioni. «Se il nichel dovesse aumentare ancora, probabilmente diventerebbe letale».

Gli effetti di questa contaminazione da metalli pesanti sul metabolismo degli insetti sono ancora da chiarire completamente, così come le possibili ricadute sulla catena alimentare più a valle. Ma si possono formulare delle ipotesi. Sebbene la concentrazione di “metalli bellici” bioaccumulati fosse maggiore nelle larve localizzate vicino al fronte di guerra, la contaminazione è stata riscontrata anche a qualche chilometro di distanza, dove le acque che provengono dalla fusione dei ghiacciai non sono più popolate esclusivamente da questi moscerini ma riescono a essere colonizzate anche da altri invertebrati. 

«Scendendo ancora più a valle, questi invertebrati vengono mangiati dai pesci. Possiamo ipotizzare che il processo continui, come è stato dimostrato per tantissime sostanze in tutti gli ambienti del mondo: il predatore accumula i contaminanti presenti nella preda», dice Lencioni. «Le acque dei ghiacciai non sono così incontaminate come si potrebbe credere, insomma, e il problema non riguarda soltanto il metro quadrato davanti alla fronte del ghiacciaio. C’è una forte connettività tra gli ecosistemi: se l’acqua è contaminata, di fatto lo è anche la terra».

I risultati dello studio del Muse sono interessanti anche perché le amministrazioni pubbliche, che per legge sono tenute a occuparsi del controllo delle acque, «hanno sempre escluso dal monitoraggio le acque d’alta quota, perché considerate incontaminate e lontane dalle fonti di inquinamento», racconta Lencioni. «In questo caso parliamo in realtà di contaminazione, non di inquinamento. Contaminazione significa che ci sono sostanze di origine non naturale che non dovrebbero esserci e che addirittura vengono accumulate dagli animali, che però sono presenti in concentrazioni molto basse. 

Quando invece parliamo di inquinamento, ci riferiamo a sostanze presenti in concentrazioni che superano i limiti di legge fissati per definire un’acqua potabile o utilizzabile in determinati contesti. Quello che non conosciamo ancora è l’effetto miscela: tante sostanze presenti insieme, seppure in lieve traccia, possono avere un effetto sinergico». Una miscela che tra l’altro non contiene solo tracce di metalli pesanti. Lo scioglimento degli strati di ghiacciaio degli anni Sessanta ci sta restituendo anche il Ddt, insetticida che in Italia è stato bandito nel 1978. «Con la fusione degli strati di ghiaccio arrivano anche sostanze radioattive, che sono state attribuite al periodo della Guerra Fredda», aggiunge l’esperta. 

Se la crisi climatica non avesse causato il sempre più rapido e significativo ritiro dei ghiacciai, questi residui del passato sarebbero rimasti sepolti senza venire esposti all’aria e a fenomeni di corrosione. Ma dato che lo scioglimento è già in corso da tempo e proseguirà, la contaminazione da “metalli bellici”, e non solo, potrebbe aumentare. Chi frequenta l’alta montagna e dovesse trovare ordigni, proiettili o altre tipologie di reperti, non può portarli a casa: ci sono due normative che lo vietano esplicitamente. 

La cosa migliore e più sicura, soprattutto se si tratta di frammenti di una certa importanza o potenzialmente inesplosi, è scattare una foto, geo-referenziare il reperto e fare una segnalazione ai carabinieri (specialmente in caso di bombe, fucili e ordigni) oppure all’amministrazione pubblica o a un museo della zona. Al di là del notevole valore storico e culturale, si tratta pur sempre di una fonte di inquinamento che non può rimanere nell’ambiente. «Una volta che ci saremo liberati anche di questi oggetti metallici, certamente ridurremo la contaminazione da metalli che ha origine da lì», conclude l’esperta.

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