Mentre i bombardamenti e l’avanzata di Israele vanno avanti nella Striscia di Gaza, il Qatar starebbe mediando nei negoziati per il rilascio di 10-15 ostaggi, di cui sei americani, in cambio di una pausa umanitaria da uno a tre giorni a Gaza. Le trattative sarebbero coordinate con gli Stati Uniti, ha detto una fonte a Reuters, aggiungendo che la pausa dovrebbe consentire ad Hamas di raccogliere informazioni su tutti gli ostaggi civili e di garantirne poi il rilascio di altre decine.
Israele smentisce. Ma anche l’Egitto tiene aperti i canali di comunicazione con Hamas e lavora alla proposta di mediazione con gli Stati Uniti. Nelle stesse ore, Washington e altri Paesi hanno intensificato la pressione su Israele perché questo accada. Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ieri ha dichiarato di aver esortato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu a sospendere i combattimenti per ragioni umanitarie. E anche i ministri degli Esteri del G7, riuniti a Tokyo, hanno chiesto una pausa umanitaria.
I nodi per il rilascio degli ostaggi in realtà sono numerosi. In primis, ci si chiede dove sono tenuti e come possono essere trasferiti in sicurezza. No solo Hamas ma anche altri gruppi estremisti come la Jihad islamica controllerebbero alcuni dei 240 ostaggi. Un funzionario di Hamas ha scaricato sullo Stato ebraico la responsabilità di non voler trattare e ha alzato la posta: la liberazione degli ostaggi in cambio di quella dei miliziani nelle carceri di Israele.
Quello che verrà fuori è ancora difficile da prevedere. John Kirby, portavoce per il Consiglio per la Sicurezza nazionale americano, ha detto ieri che servirebbero «ben più pause e più prolungate per portare fuori tutti gli ostaggi» e garantire l’accesso degli aiuti alla popolazione civile, altro elemento incluso nella ipotesi di accordo. Al momento ci si riferisce a pause «temporali e localizzate». Significa che alcune zone della Striscia per un certo numero di ore verrebbero risparmiate dai raid. Questo schema, ripetuto diverse volte, consentirebbe di trasportare fuori dalla Striscia gli ostaggi.
Ma la cautela è d’obbligo. Non è probabilmente una coincidenza che le trattative siano state rese note mentre il capo della Cia Williams Burns è nella regione dopo essere stato prima in Israele e poi in Qatar. La sua missione era quella di trovare una via per risolvere il nodo degli ostaggi.
Ma gli Stati Uniti continuano a sostenere Israele. Il segretario di Stato Antony Blinken ieri ha guidato gli alleati del G7 riuniti in Giappone a sottoscrivere un documento che conferma il diritto di Israele a difendersi e si oppone al cessate il fuoco. Il cessate il fuoco è tecnicamente uno strumento che prevede che vi sia all’orizzonte una risoluzione del conflitto e concederebbe una sorta di legittimità ad Hamas. L’obiettivo resta l’annientamento dei miliziani.
Più complesso è invece immaginare il post-guerra. Blinken dal Giappone ha ribadito che Israele non deve rioccupare la Striscia di Gaza alla fine della guerra, ma potrà controllare il territorio per un periodo di transizione, aggiungendo che Gaza dovrebbe essere unificata con la Cisgiordania sotto l’Autorità Nazionale Palestinese e che non dovrebbero esserci evacuazioni forzate degli abitanti o riduzioni del territorio.