Attacco alle fondamenta
C’è un assalto in corso contro tutto ciò che ha a che fare con il mondo occidentale: il suo passato, il suo presente e il suo futuro
Negli ultimi anni è diventato chiaro che c’è una guerra in corso: una guerra all’Occidente. Non è una guerra come quelle del passato, in cui gli eserciti si scontrano e le vittorie vengono proclamate a gran voce. È una guerra culturale, e viene condotta implacabilmente contro tutte le radici della tradizione occidentale e contro tutto ciò che di buono la tradizione occidentale ha prodotto.
All’inizio, è stato difficile riconoscerla. Molti di noi sentivano che qualcosa non andava. Ci chiedevamo come mai si continuasse a portare avanti argomentazioni a senso unico e a produrre affermazioni ingiuste. Ma non ci rendevamo conto della reale portata di ciò che si stava tentando di fare. Soprattutto perché persino il linguaggio delle idee era corrotto. Le parole non avevano più il significato che avevano avuto fino a poco tempo prima. Le persone avevano iniziato a parlare di «uguaglianza», ma non sembravano interessarsi alla parità di diritti. Parlavano di «antirazzismo», ma le loro proposte sembravano profondamente razziste. Parlavano di «giustizia», ma sembravano intenderla come «vendetta».
Solo negli ultimi anni, quando i frutti di questo movimento sono venuti alla luce, la loro portata è diventata evidente. C’è un assalto in corso contro tutto ciò che ha a che fare con il mondo occidentale: il suo passato, il suo presente e il suo futuro. Una parte di questo fenomeno consiste nel fatto che siamo imprigionati in un ciclo punitivo senza fine. Senza alcun vero tentativo (o addirittura interesse) di alleviamento.
[…] Dovunque, le società considerate «occidentali» (cioè i Paesi europei o quelli che discendevano dalla civilizzazione europea) sperimentavano lo stesso schema di ragionamento. Nessun luogo non occidentale ha subìto un trattamento simile. Solo ai Paesi occidentali, distribuiti su tre continenti, veniva ripetuto in continuazione che per avere qualche forma di legittimità – anche solo per essere considerati rispettabili – avrebbero dovuto alterare prontamente e radicalmente il loro assetto demografico. La visione del XXI secolo sembrava indicare che alla Cina sarebbe stato concesso di restare Cina, ai vari Paesi dell’Estremo e Medio Oriente e all’Africa sarebbe stato permesso – come effettivamente ci si aspettava – di restare così com’erano, o persino tornare a qualcosa che forse erano stati in passato. Ma ci si aspettava che l’insieme dei Paesi identificati come «l’Occidente» sarebbe diventato qualcosa di diverso o avrebbe perso tutta la sua legittimità.
Ovviamente, i Paesi e gli Stati hanno tutto il diritto di cambiare. Nel corso del tempo un certo grado di cambiamento è inevitabile. Ma sembrava ci fosse qualcosa di tendenzioso in ciò che stava succedendo: qualcosa di fazioso e sfasato. Queste osservazioni non erano suscitate dall’amore per i Paesi in questione, ma dal malcelato disprezzo nei confronti di essi. Agli occhi di molte persone, tra l’altro anche all’interno delle loro stesse cittadinanze, sembrava che questi Paesi avessero fatto qualcosa di sbagliato. Qualcosa per cui dovevano fare ammenda. L’Occidente era il problema. La dissoluzione dell’Occidente era la soluzione.
C’erano altri indizi che qualcosa non andava. Nel 2019, ne ho affrontati alcuni ne “La pazzia delle folle”. Ho parlato delle sfide lanciate dalle «politiche identitarie»: in particolare del tentativo di frammentare le società occidentali in base ai criteri del sesso, della sessualità e della razza. Dopo il XX secolo, l’identità nazionale è diventata una forma di appartenenza vergognosa, e improvvisamente sono apparse al suo posto tutte queste altre forme di appartenenza. Si iniziava a dire alle persone di considerare se stesse come membri di altri gruppi specifici. Erano gay o etero, donne o uomini, neri o bianchi. Queste forme di appartenenza venivano anche sollecitate al fine di propendere verso una posizione antioccidentale. […]
Il discorso sulla razza si incrudelì ulteriormente. Le minoranze razziali che si erano integrate bene in Occidente, che avevano contribuito alla sua crescita e che addirittura provavano ammirazione per l’Occidente venivano trattate sempre di più come se fossero dei traditori. Come se da loro ci si aspettasse un altro tipo di lealtà. I radicali che volevano distruggere tutto venivano venerati. Ci si riferiva ai neri americani e agli altri individui che volevano celebrare l’Occidente e arricchirlo come se fossero degli apostati. Sempre più di frequente, si affibbiavano loro i peggiori appellativi. L’amore per la società in cui vivevano era considerato un punto a loro svantaggio.
Nello stesso tempo, era diventato inaccettabile parlare di qualsiasi altra società con toni anche solo vagamente simili. Nonostante tutti gli inconcepibili abusi perpetrati nella nostra epoca dal Partito Comunista cinese, quasi nessuno parla della Cina con anche solo un briciolo della rabbia e del disgusto riversati quotidianamente contro l’Occidente dall’interno. I consumatori occidentali continuano a comprare vestiti a basso costo dalla Cina. Non c’è alcun tentativo diffuso di boicottaggio. «Made in China» non è un’etichetta di cui vergognarsi. Cose terribili continuano a succedere attualmente in quel Paese, e ancora viene trattato come se nulla fosse. Gli autori che si rifiutano di permettere che i loro libri siano tradotti in ebraico sono entusiasti di vederli comparire in Cina. E nel frattempo la catena di fast food Chick-fil-A viene criticata più aspramente per produrre i suoi sandwich sul suolo americano di quanto lo sia Nike per confezionare le sue sneakers grazie allo sfruttamento della manodopera in Cina. Perché nell’Occidente sviluppato si applicano criteri diversi.
Quando si parlava di diritti delle donne e delle minoranze sessuali, e, ovviamente, di razzismo, si diceva che la situazione non era mai stata peggiore, mentre invece non era mai stata migliore. Nessuno poteva negare la piaga del razzismo, una piaga che si può reperire in varie forme nel corso di tutta la storia. Le tendenze inglobanti ed escludenti sono eccezionalmente forti nella nostra specie. Non siamo così evoluti come ci piacerebbe immaginare di essere.
Negli ultimi decenni, però, in Occidente la situazione rispetto all’uguaglianza razziale è la migliore di sempre. Le nostre società hanno fatto uno sforzo per andare «oltre la razza», guidate dall’esempio di alcuni uomini e donne eccezionali di ogni provenienza razziale, ma in particolare da alcuni straordinari afroamericani. Non era scontato che le società occidentali avrebbero sviluppato, o anche solo aspirato a raggiungere, la tradizione di tolleranza razziale che abbiamo ora. Non era scontato che avremmo finito per vivere in società che giustamente considerano il razzismo come uno dei peccati più aberranti. È accaduto perché molti uomini e donne coraggiosi hanno fatto valere le proprie ragioni, hanno lottato contro quello stato di cose e hanno rivendicato i loro diritti.
Negli ultimi anni, si è iniziato a ragionare come se quella battaglia non fosse mai avvenuta. Come se fosse un miraggio. Negli ultimi anni, sono giunto a rappresentarmi i problemi razziali in Occidente come un pendolo la cui oscillazione ha superato il punto di correzione per arrivare all’ipercorrezione. Come se, qualora il pendolo restasse in una leggera ipercorrezione abbastanza a lungo, l’uguaglianza potesse essere stabilita più fermamente. Ormai è chiaro che, per quanto benintenzionata potesse essere una tale convinzione, era decisamente fuorviante. La razza oggi è un tema di discussione in tutti i Paesi occidentali come non lo era stato per decenni. Invece della color blindness (la cecità verso il colore della pelle), siamo stati spinti all’ultrasensibilità razziale. Ci viene presentato un quadro profondamente distorto. Come tutte le società nella storia, tutte le Nazioni occidentali hanno il razzismo iscritto nel loro passato. Ma questa non è l’unica versione della storia dei nostri Paesi.
Il razzismo non è l’unica lente attraverso cui le nostre società possono essere comprese, eppure sempre più spesso è l’unica lente impiegata. Tutto ciò che fa parte del passato è visto come razzismo, e quindi tutto ciò che rientra nel passato è viziato.
Però, ancora una volta, solo nel passato dell’Occidente, grazie al radicale filtro razziale che è stato sovrapposto a qualsiasi cosa. Un orrendo razzismo esiste attualmente in tutta l’Africa, espresso dai neri africani contro altri neri africani. Nel Medio Oriente e in India il razzismo abbonda. Fate un viaggio in qualsiasi luogo del Medio Oriente – addirittura nei «progressisti» Stati del Golfo – e vedrete all’opera un moderno sistema di caste. Ci sono gruppi razziali di «classe superiore» che governano queste società e persone che da essi traggono benefici. E poi ci sono i lavoratori stranieri non tutelati affluiti per lavorare per loro come una classe lavoratrice d’importazione. Questi ultimi vengono guardati dall’alto in basso, maltrattati e persino buttati via come se le loro vite non contassero nulla. E nel secondo Paese più popolato al mondo, come chiunque abbia viaggiato in India ben saprà, il sistema delle caste resta ancora attivo in modo evidente e sconvolgente. Al punto che certi gruppi di persone sono considerati «intoccabili» senza alcun motivo a parte la casualità della loro nascita. Si tratta di un disgustoso sistema basato sul pregiudizio, ancora vivo e vegeto. Eppure non sentiamo parlare molto di questo argomento.
Invece, il mondo riceve rapporti giornalieri su come i Paesi meno soggetti sotto ogni aspetto al razzismo, e dove il razzismo è più aborrito, siano la patria del razzismo. Quest’affermazione distorta arriva addirittura a un’estrema conseguenza, cioè che se altri Paesi sperimentano qualche forma di razzismo, ciò accade perché l’Occidente ha esportato il vizio fino a lì. Come se il mondo non occidentale fosse sempre composto da edenici innocenti. Anche in questo caso, è chiaro che si è creato un registro ingiusto. Un registro in cui l’Occidente viene trattato secondo un certo insieme di standard e il resto del mondo secondo un altro. Un registro in cui sembra che l’Occidente non possa fare nulla di giusto e il resto del mondo nulla di sbagliato. O che sbagli solo perché noi occidentali lo abbiamo portato a farlo. Questi sono solo alcuni dei sintomi che è possibile individuare nel nostro tempo. Sintomi che ho cercato di cogliere uno dopo l’altro negli ultimi anni. Ma più li ho presi in considerazione e più ho viaggiato lontano per il mondo, più è diventato chiaro che quest’epoca è definita soprattutto da una cosa: un cambiamento di civiltà che è in corso da sempre.
Un cambiamento che ha scosso le fondamenta delle nostre società, perché è una guerra contro tutto ciò che esiste in quelle società. Una guerra contro tutto quello che ha contraddistinto le nostre società come qualcosa di inusuale – o addirittura di eccezionale. Una guerra contro tutto ciò che le persone che abitano in Occidente davano per scontato, fino a non molto tempo fa. Se questa guerra si rivelerà fallimentare, allora dovrà essere denunciata e respinta.
Tratto da “Guerra all’Occidente” (Guerini e associati), di Douglas Murray, pp. 364, 29€