La lezione di HegelL’illusione del cloud country e il ruolo ineludibile degli Stati

La pandemia ha mostrato quanto le istituzioni siano fondamentali per molte persone e, come spiega Quinn Slobodian ne “Il capitalismo della frammentazione” (Einaudi), per questo è irrealistico il sogno di un luogo digitale basato solo sulla blockchain dove poter vivere, lavorare e interagire al di fuori della giurisdizione di qualsiasi stato fisico

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«Qual è il prossimo passo per la classe della libertà globale?» ha chiesto Srinivasan nel 2021. Per sé aveva optato per Singapore, una città-Stato autoritaria, ben lontana dal disordine di cui si lamentava a San Francisco. Lí ha lanciato una campagna più assidua a favore della città nel cloud, che comprendeva una serie di conferenze online e un sito che pagava le persone in bitcoin per la soluzione di potenziali problemi futuri per una città fondata sulla blockchain. Gli scritti di Srinivasan proseguivano il suo aggiornamento di The Sovereign Individual, sostenendo che gli Stati non contano, la crittografia ha risolto i problemi di governo, e internet stava consentendo la creazione di «un’Atlantide digitale, un nuovo continente galleggiante nel cloud in cui competono vecchie potenze e nuove potenze sorgono»

Eppure, l’andamento della pandemia non aveva giovato alle sue previsioni. La gente non ha disertato in massa, il centro del governo ha tenuto e le capacità dello Stato sono diventate più importanti per la gente comune, non meno. Le criptovalute non hanno modificato la natura dell’ambito monetario: hanno solo aggiunto un altro cavallo su cui puntare. In quanto asset speculativo, i bitcoin e le altre monete digitali sono saliti e scesi seguendo il mercato azionario piú ampio, prodotti di un momento finanziario in cui la liquidità non trovava sfogo se non a fini improduttivi che promettevano remunerazione a breve termine. Se lo scopo della tecnologia blockchain era eliminare il fattore della fiducia, sembrava una posizione poco saggia. Uno studio su «Lancet» ha dimostrato che erano proprio «la fiducia nel governo e quella interpersonale» a presentare una correlazione con la capacità che un Paese aveva dimostrato di ridurre al minimo le vittime della pandemia

Le piattaforme in cui ci logghiamo sono di proprietà di attori privati. Ogni tasto premuto (e quando indossiamo un visore per la realtà virtuale, ogni scatto, piegamento e annuire della testa) viene tracciato nel minimo dettaglio, seguito, vagliato, calibrato e venduto ai pubblicitari e ad altri sviluppatori. È molto eloquente il fatto che una delle aziende di maggior successo della Silicon Valley, Uber, non offrisse una prateria vuota in cui scorrazzare e costruire. Invece, se eri un driver, ti portava in giro come un cane al guinzaglio, punendoti per ogni deviazione e al tempo stesso mantenendo la finzione che tu fossi un libero professionista. La miglior immagine del metaverso, come ha sagacemente fatto osservare un critico, è probabilmente quella del cubicolo. Il governo privato delle grandi aziende lascia poco spazio a visioni alternative di collettività, al di là di quelle che ne riproducono il dominio.

Come fa notare uno dei testi fondativi della critica alla tecnologia, la Silicon Valley spesso dimentica Hegel a proprio rischio e pericolo. Il filosofo tedesco insegnava che il padrone dipende sempre dallo schiavo. Nessun’isola e nessun cloud possono esistere senza una loro classe inferiore. Al di là delle masse di gig workers mediati dalle app, persino i tanto incensati programmi di intelligenza artificiale funzionano solo grazie alle routine e alle fatiche spesso ripetitive di manodopera sia specializzata che non. Dall’Honduras a Dubai, la classe di lavoratori dei servizi è la più facile da dimenticare per i «visionari» e quella senza la quale sarebbe per loro più difficile vivere. Allo scoppiare della pandemia da Covid-19, all’inizio Singapore pensava di aver appiattito la curva, finché non è stata colpita da un’ondata di contagi proveniente dai lavoratori migranti che vivevano in quartieri affollati, lontano dallo sguardo della pubblica opinione.

I leader della città, apparentemente, si erano scordati che esistessero. Il cloud «si libra nell’aria» perché c’è una classe svantaggiata che lo sorregge. Sarà il tempo a dire se un giorno costoro lo lasceranno cadere per creare qualcosa di nuovo.

Da “Il capitalismo della frammentazione Gli integralisti del mercato e il sogno di un mondo senza democrazia”, di Quinn Slobodian, Einaudi, 376 pagine, 20 euro

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