Non si può dire certo che Papa Francesco non chiami le cose con il loro nome. Con la “Laudate Deum” del 4 ottobre scorso, giorno significativamente dedicato dalle Chiese Cristiane a San Francesco, figura cara anche ad altre religioni, il pontefice ha ripreso la sua pastorale ambientale, iniziata con la “Laudato sì” di 8 anni fa, citando studi (in particolare quelli dell’IPCC), chiamando in causa paesi europei e potenze mondiali, passando in rassegna fasi industriali e diversi livelli di sviluppo e analizzando le tante COP che hanno portato all’ultima, la prossima, che si terrà negli Emirati Arabi Uniti, a Dubai.
Non si è tirato indietro insomma dal fare citazioni specifiche e puntare il dito oltre che proporre soluzioni. Come ci si può aspettare non solo da un leader religioso di cotanta portata, ma anche dal Capo di uno Stato, il Vaticano, che non rinuncia al suo ruolo di “guardiano” della multipolarità diplomatica.
Non è una semplice “testimonianza”, quella di Francesco, bensì uno stimolo positivo che mette nero su bianco la visione di chi in questi appuntamenti mondiali ci crede davvero.
L’appello per una Cop di svolta
Cosa dice il Papa? Innanzitutto, sposa per intero le tesi che riecheggiano in ogni rapporto annuale delle Nazioni Unite ed in particolare nell’ultimo rilasciato a marzo di quest’anno dall’IPCC, il gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico sorto sotto l’egida dell’ONU: il cambiamento climatico è incontestabile, può anche essere una fase del pianeta nel lunghissimo periodo, ma in questa fase noi, ora, ci siamo dentro e dalla fine dell’800, dalla prima rivoluzione industriale, è incontestabile il ruolo dell’uomo in questo cambiamento. Se così è allora non si può non prestare orecchio, scrive il Santo Padre, a chi come l’IPCC avverte che “la finestra dell’opposizione al cambiamento climatico si sta restringendo…”. Insomma, il Papa non ci gira intorno e dichiara esplicitamente che siamo ormai prossimi al “breaking point”, al punto di rottura irreversibile e che dobbiamo trovare la forza di fermarci prima.
Francesco proviene da uno dei “Sud del mondo”, l’America Latina, e certamente la sua origine influenza le posizioni espresse nelle sue opere, ma il Papa non si limita a fare affermazioni di mero principio in difesa dei Paesi in via di sviluppo né eccede in romantico ambientalismo. Anzi chiede di riandare con la testa alle crisi economiche mondiali di questi anni ed alla pandemia di Covid19 per incitare ad un soprassalto di creatività nel lavoro e nell’innovazione al fine di usare le crisi come opportunità.
Certo – e qui parla il Capo di Stato Vaticano – non può esserci un avanzamento globale senza una visione anch’essa globale ed una nuova multipolarità: “Più che salvare il vecchio multilateralismo, sembra che oggi la sfida sia quella di riconfigurarlo e ricrearlo alla luce della nuova situazione globale”. In questo il Papa è netto ma anche pragmatico: “La vecchia diplomazia, anch’essa in crisi, continua a dimostrare la sua importanza e necessità.
Non è ancora riuscita a generare un modello di diplomazia multilaterale che risponda alla nuova configurazione del mondo, ma, se è capace di riformularsi, dovrà essere parte della soluzione, perché anche l’esperienza di secoli non può essere scartata”.
È un invito pressante, dunque, a fare fino in fondo il proprio dovere alla Cop28 ma anche dopo: “Se abbiamo fiducia nella capacità dell’essere umano di trascendere i suoi piccoli interessi e di pensare in grande, non possiamo rinunciare a sognare che la Cop28 porti a una decisa accelerazione della transizione energetica, con impegni efficaci che possano essere monitorati in modo permanente. Questa Conferenza può essere un punto di svolta, comprovando che tutto quanto si è fatto dal 1992 era serio e opportuno, altrimenti sarà una grande delusione e metterà a rischio quanto di buono si è potuto fin qui raggiungere”.
Il Papa non rimane nel vago e chiede che gli Accordi di Parigi 2015, che, sottolinea, “sono vincolanti”, vengano attuati, né più né meno. Papa Francesco coglie, insomma, la questione su cui hanno ruotato tutte le ultime COP, da quella di Madrid 2019 ad oggi: ovvero gli impegni presi vanno attuati non solo settorialmente e non solo da alcuni Stati più che da altri, e soprattutto va ricordato l’impegno economico di oltre 100 miliardi l’anno per i paesi in via di sviluppo dal 2020 al 2025 (tra fondi pubblici e privati), mai rispettato sinora.
Il coinvolgimento di tutti
“Dobbiamo superare la logica dell’apparire sensibili al problema e allo stesso tempo non avere il coraggio di effettuare cambiamenti sostanziali…” dice con schiettezza Papa Francesco e ancora di più, poco avanti: “Poniamo finalmente termine all’irresponsabile presa in giro che presenta la questione come solo ambientale, verde, romantica, spesso ridicolizzata per interessi economici. Ammettiamo finalmente che si tratta di un problema umano e sociale in senso ampio e a vari livelli. Per questo si richiede un coinvolgimento di tutti”. È un campanello d’ allarme che risuona in tutte le cancellerie mondiali. Vale per i grandi emettitori di CO2 come Cina e Stati Uniti, ma richiama alle proprie responsabilità anche il fronte dei Paesi emergenti come l’India, che proprio nelle ultime Cop ha avuto buon gioco nel presentare la questione come uno scontro tra le élite mondiali più avanzate tecnologicamente e i paesi che per cambiare hanno bisogno di un periodo di “adattamento” e crescita ragionevole. Un’esigenza con cui bisogna fare i conti, ma che non può fermare uno sforzo complessivo che ha bisogno sì di flessibilità, ma tenendo fermi obiettivi chiari e riconosciuti da tutti.
Insomma, la Cop28 non può trasformarsi nell’ennesimo scacco diplomatico mondiale. Ne va dell’immagine delle Nazioni Unite ed anche della visione, da sempre cara al Vaticano, di uno scacchiere diplomatico multipolare. Lo sa bene Al Jaber che presiederà i lavori e che ha iniziato da settembre scorso una serie di visite in tutto il mondo per presentarsi ai tavoli con delle proposte che abbiano consenso preventivo.
Stavolta in più c’è anche una pressione vaticana più forte del solito e motivata. Quale sarà il “dopo” di questa azione di Papa Francesco è presto dirlo. Di certo però se si considera l’influenza esercitata in questi otto anni dalla “Laudato sì”, nessuno potrà stupirsi di ritrovarsi in campo “divisioni” del Vaticano, intanto associazionismo e società civile di Paesi anche lontani miglia e miglia dall’enclave leonina di Roma.
Roberto di Giovan Paolo è un giornalista, ha collaborato, tra gli altri, con Ansa, Avvenire e Famiglia Cristiana. È stato segretario generale dell’Associazione Italiana per il Consiglio dei Comuni e delle Regioni d’Europa. È docente presso l’Università degli studi internazionali di Roma.