La riforma costituzionale proposta dal governo Meloni rischia di creare due fratture istituzionali insanabili: la prima tra il premier e il presidente della Repubblica e la seconda tra il premier eletto e chi punta a sostituirlo: «il secondo premier della legislatura, che non riceve un mandato popolare a governare, avrebbe più poteri del premier eletto dai cittadini, disponendo solo lui dell’arma dello scioglimento delle Camere».
La pensa così il presidente emerito della Corte Costituzionale Giovanni Maria Flick che in una intervista a La Stampa spiega cosa non va nella riforma sui poteri del presidente del Consiglio: «Trovo illogico condizionare un premier eletto dal popolo a un voto di fiducia del Parlamento. E non solo: si rischia di svuotare la ratio della riforma con la introduzione del secondo premier non indicato nella scheda elettorale. Il quale può prendere il posto del primo, ottenendo un voto di fiducia parlamentare. È illogico: una volta che si è scelta l’elezione popolare, non si può condizionarla con la fiducia parlamentare».
Per Flick sarebbe scontato un conflitto politico permanente tra il vincitore delle elezioni e il secondo classificato che avrebbe il desiderio immediato di rimuovere il primo. Non sarebbe più il popolo sovrano a decidere chi governa ma il Parlamento a scegliere se eleggere un parlamentare come premier, tradendo la indicazione degli elettori. E anche il passaggio di poteri tra il premier eletto e il secondo classificato non è scontato: «Non è che se il premier eletto cade o si dimette, il suo ruolo sia trasferibile. Se lui deve andare a casa, non si può sostituirlo con un altro della stessa lista elettorale. Il quale, leggendo tra le righe la riforma, non avrebbe neanche l’obbligo di preservare la stessa maggioranza numerica. Una complicazione enorme quella di voler impedire il ribaltone agendo non sul sistema elettorale ma sui meccanismi di passaggio. E se si verifica un’emergenza di avere un governo in carica, che si fa?».
Inoltre secondo Flick questa riforma svuoterebbe i poteri del presidente della Repubblica togliendo le uniche due armi politiche a sua disposizione: lo scioglimento delle Camere e la nomina del presidente del Consiglio, al quale si limita a “conferire”un incarico. «La creazione di due fonti, una parlamentare per la nomina del capo dello Stato e l’altra elettorale per la legittimazione del premier, è destinata a creare una notevole frattura tra i due soggetti istituzionali».