La stampa internazionale ha dato scarso rilievo al vertice, denominato Global Gateway, che si è svolto la scorsa settimana a Bruxelles ai margini del Consiglio europeo fra l’Unione europea e quaranta Paesi dell’Africa e dell’Asia con l’obiettivo di avviare un piano di investimenti di trecento miliardi di euro nel settore delle materie prime necessarie all’Unione europea per rafforzare la sua autonomia strategica ma altrettanto necessari ai Paesi terzi per aumentare il loro export.
Molti hanno considerato che il vertice, voluto dalla Commissione europea, fosse una alternativa alla “Via della seta” che la Cina ha deciso di dotare di un bilancio più di tre volte superiore a quello stanziato dall’Unione europea.
Il vertice di Bruxelles è stato snobbato dalla maggioranza dei leader europei che pure erano nella capitale belga per il periodico Consiglio europeo ma anche da molti leader di paesi terzi rappresentati dai loro ministri e fortemente criticato dal Parlamento europeo, riunito a Strasburgo, per «mancanza di una chiara visione strategica».
Come sappiamo la stampa internazionale ha dato invece molto rilievo alle discussioni fra i leader europei sulla formula da utilizzare per il conflitto scatenato dall’attacco terroristico dell’organizzazione paramilitare di Hamas ad Israele – che controlla dall’interno e non solo militarmente la Striscia di Gaza avendo spodestato l’autorità palestinese che controlla invece politicamente la parte della Cisgiordania non occupata dai coloni israeliani – con un complicato negoziato diplomatico fra chi voleva inserire nelle conclusioni del Consiglio europeo la richiesta di una «tregua umanitaria» e chi una «pausa umanitaria» con il risultato finale della apparentemente incomprensibile formula delle «pause umanitarie» necessarie per far pervenire alla popolazione di Gaza generi essenziali non prendendo invece in considerazione la proposta di Pedro Sanchez di una Conferenza internazionale di pace.
Chi si occupa dei rapporti fra l’Unione europea e il Medio Oriente sa che la capacità di influenza dell’Unione europea sul governo di Israele è pari a zero, che non ci sono naturalmente rapporti fra l’Unione europea e Hamas, che dunque i negoziati diplomatici di Bruxelles non avrebbero avuto nessun effetto sullo stato della situazione militare ed umanitaria in Medio Oriente e che questo negoziato appariva grottesco a Tel Aviv, a Gaza ma anche a Washington.
Sappiamo anche che esiste paradossalmente una convergenza di visione fra il governo israeliano e Hamas perché l’uno e l’altro sono contrari alla prospettiva di «due popoli e due Stati», una prospettiva sostenuta invece dall’Unione europea, dagli Stati Uniti e più in generale dalle Nazioni Unite anche se da decenni molti Stati arabi non hanno mai fatto nulla per agevolarla.
La prospettiva di porre le basi di un’organizzazione di future relazioni pacifiche fra gli israeliani e i palestinesi (che potrà essere agevolata da un mutamento del governo a Tel Aviv e nella conduzione dell’Autorità palestinese con una netta dissociazione dai terroristi di Hamas e dei suoi complici in Medio Oriente) con due Stati indipendenti e sovrani esige che i palestinesi rinuncino all’idea di una libera Palestina (free Palestine) dal fiume (Giordano) al mare (from the river to the sea) che prevale purtroppo in questi giorni nelle manifestazioni popolari che hanno riempito molte piazze d’Europa perché la sua attuazione implicherebbe la scomparsa dello Stato di Israele ma che Israele rinunci contestualmente ai territori illegittimamente occupati dai suoi coloni con il mandato alle Nazioni Unite di creare una zona di confine fra l’uno e l’altro Stato sotto una sua provvisoria amministrazione controllata.
L’assenza della dimensione geopolitica dell’Unione europea, che fu il fiore all’occhiello di Ursula von der Leyen all’inizio della attuale legislatura europea poi soffocato dall’egocentrismo del presidente del Consiglio europeo Charles Michel in questo aiutato dalla natura ermafrodita del Trattato di Lisbona, è apparsa in tutta la sua drammatica evidenza nella cacofonia di posizioni dei governi europei nella Assemblea delle Nazioni Unite sulla risoluzione presentata dalla Giordania con il sostegno di quaranta Stati (“Azioni illegali di Israele nella Gerusalemme est occupata e nei Territori palestinesi occupati”) a cui si sono associati la Russia, il Venezuela, la Corea del Nord e la Bolivia.
I Ventisette non si sono evidentemente consultati né fra di loro né con il taciturno ed irrilevante delegato dell’Unione europea a New York e si sono poi frammentati fra lo stupefacente voto favorevole francese in netta controtendenza rispetto alla posizione di Emmanuel Macron a Bruxelles – a cui si sono aggiunti i voti favorevoli di Spagna, Belgio, Irlanda, Lussemburgo e Malta in coerenza con la linea dei loro governi al Consiglio europeo – l’astensione italiana e tedesca insieme a Paesi Bassi, Svezia, Polonia, Bulgaria, Romania, Grecia e Slovacchia (sapendo che le astensioni non contano) ed il voto contrario di Austria, Ungheria, Repubblica Ceca e Croazia.
Per la cronaca non è stato adottato un emendamento del Canada (per la mancanza di una maggioranza di due terzi dei membri della Assemblea) che chiedeva una esplicita condanna dell’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre e che ha ottenuto ottantotto voti a favore, cinquantacinque contrari e ventitre astensioni. Ancora una volta l’Unione europea ed i suoi Stati membri hanno deciso di rinunciare a svolgere un ruolo attivo sulla scena internazionale.
Il consiglio italiano del Movimento europeo di cui l’autore fa parte ribadisce le richieste contenute nella “Dichiarazione sulla pace in Medio Oriente”