Evoluzione e storia umana testimoniano l’esistenza di un accoppiamento strutturale fra l’accrescimento di complessità della mente umana e l’accrescimento di complessità delle forme di (micro- e macro-) organizzazione sociale degli uomini. Società ominidi, protosocietà, società storiche, villaggi, città, Stati, nazioni, corrispondono a livelli crescenti di complessità. Ma non si è trattato di un percorso lineare, necessario e progressivo come veniva raccontato nelle “filosofie della storia” del xix secolo.
Soluzioni a bassa complessità (attitudine alla gerarchia, costrizione, intolleranza, repressione del disordine, dogmatismo, refrattarietà a possibilità evolutive) e soluzioni ad alta complessità (tendenza a trasformare disordini e diversità in libertà e creatività, tendenza alla poliarchia, sviluppo dell’autonomia, della soggettività, di comunicazioni e comunità con altri…) si sono unite, mescolate o contrapposte, volta per volta, non senza l’irruzione di momenti di infracomplessità, cioè di logiche di dominio puro o violento e di annientamento delle opposizioni e degli antagonismi attraverso l’annientamento fisico degli oppositori e degli antagonisti.
L’interdipendenza è la chiave di volta per varcare la soglia elevata di ipercomplessità richiesta dalla trasformazione della comunità di destino mondiale in un assetto cosmopolitico, che riconosca e tuteli, coscientemente e attivamente, interessi comuni e vitali all’umanità e che protegga la biosfera terrestre. Solo l’accresciuta dipendenza dei propri interessi vitali dal rapporto con i partner di altri Paesi e di altre culture, nonché il riconoscimento dell’esistenza e della priorità di interessi specifici globali, transfrontalieri, “cosmopolitici”, potranno condurre a superare lo stadio delle culture intese come unità di sopravvivenza locali e polemogene (lo stadio del “gioco a somma nulla” della guerra per la divisione delle risorse). Lo dimostra positivamente l’esperimento storico dell’integrazione europea.
La scommessa su un nuovo ordine giuridico e politico planetario, su un sistema di governo mondiale multilaterale e acentrico, come soluzione ad alta complessità, sembra oggi intralciata da una soluzione a bassa complessità che potremmo definire “deriva imperiale dei continenti”, in contesa tra loro. Se la presa di coscienza dei problemi globali non evolverà verso una solidarietà globale e una nuova, coerente e policentrica forma di organizzazione del politico su scala transnazionale, ispirando, in direzione di questo fine, la condotta degli attori politici, economici e sociali del mondo, si lascerà irresponsabilmente il futuro alla deriva catastrofica e irreversibile dei processi globali.
Dovremmo essere sempre più allertati dalla possibilità di commettere l’irreparabile, l’ecocidio. E dovremmo essere sempre più uniti dalla preoccupazione e dalla sollecitudine (dimensioni della cura) che sono prodotte da tale pericolo. Eppure, da qualche altra parte nel fondo oscuro di molte menti, può ancora covare la seduzione aberrante di progetti di assimilazione violenta o distruzione dell’Altro (persino, di genocidio!). Siamo incerti e sospesi tra l’avventura e, quindi, inevitabilmente, l’erranza dell’ipercomplessità, da una parte, e, dall’altra, i rigurgiti pseudorassicuranti e terrificanti dell’infracomplessità. Per quanto tempo ancora? E soprattutto: ne avremo il tempo?