Buone miniereI tiktoker duri e puri smettono di svapare per salvare i bimbi del Congo

Il social made in China per eccellenza, TikTok, ospita da una decina di giorni una furiosa e virale ribellione anti-sigaretta elettronica per ragioni umanitarie. Da Pechino nessuna reazione. Forse perché la piattaforma fattura 85,2 miliardi di dollari

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Qui si parrà la cinese nobilitate, oppure, messa giù in una chiave meno geopoetica e più geopolitica: ce la farà l’alto (ma grigio) funzionario a monitorare il tasso di libertà che circola sul social medium made in Cina per eccellenza, ovvero TikTok? Riuscirà a evitare che i creator provochino danni economici alla Cina ?

Andiamo, povero cristo, non deve essere mica facile fare questo lavoro nel 2023, quando a pagarti lo stipendio è un regime autoritario, liberticida ed espansionista. Mettetevi nei suoi panni in questi giorni: un manipolo di tiktoker giovinastri, globali e guastafeste, ossessionati dai challenge tipici del social, si è inventato che adesso basta, bisogna smettere di svapare (fumare le sigarette elettroniche). Subito. Non tanto perché fa malissimo alla salute, ma perché quei vapori alla vaniglia e all’assenzio, sono puzzano di zolfo che arriva dell’inferno. Perché ogni volta che fai un tiro un bimbo in Congo è infilato in una miniera di cobalto a raccogliere il prezioso minerale che serve per fare le sigarette elettroniche, soprattutto quelle usa e getta. Violati i suoi diritti umani, la sua infanzia, il suo sistema respiratorio. Se poi come accade da decenni, il minore è messo a guardia della miniera con un mitra in mano, il rischio che ci lasci la ghirba o che la faccia a qualche altro innocente è piuttosto elevato.

Il funzionario lo sa che le miniere congolesi sono in mano a società cinesi. Sa anche che nonostante tutto è difficile che l’Occidente delle buone maniere si preoccupi anche delle buone miniere nella Repubblica del Congo. Sa che l’accaparramento delle risorse non è un segreto, ma che a non molti ultrà dell’ambientalismo fregherà granché del fatto che quell’esproprio minerario serva a fabbricare beni di “prima necessità” come auto elettriche e telefonini. 

Ma con le sigarette elettroniche la storia è diversa. E se la Generazione Zeta boicottasse uno dei business più floridi degli ultimi dieci anni? Che fare, si chiede l’alto funzionario: non è che può andare in giro a spruzzare polonio sugli involtini primavera venduti nelle China Town di mezzo mondo per punire i dissidenti del vapore. Non è che può rapire camionate di adolescenti nei licei e torturarli spegnendogli le sigarette (vere) sui brufoli per fargli capire la lezione. Il grigio funzionario può solo guardare e riguardare, fino a notte fonda alcuni video e reel postati ai primi di dicembre dalla creator Kristina (@itskristinamf ) che ha spiegato al suo vasto pubblico che cosa stava imparando dal suo stesso vizio e perché questo l’ha portata a decidere di smettere di svapare.

«Mi sono chiesta: come posso evitare il disastro umanitario che si sta consumando in Congo?». «La causa di tutto è il nostro consumo sconsiderato tecnologia inutile. Cerco di non comprare nuovi dispositivi elettronici. Ho lo stesso telefono da cinque anni, ho la stessa tv da quando l’ho comprata diversi anni fa. L’unica cosa che compro molto frequentemente è la sigaretta usa e getta. E questa contiene cobalto. Che proviene dalla Repubblica del Congo». Da lì in poi, a cascata, milioni di altri ragazzi sensibili hanno colto il messaggio e si sono prodotti in video ad alto tasso anti-sfruttamento. 

Ha ragione Kristina o c’è del talebanismo tipico della generazione? Qualche dato: solo nel Regno Unito, dati raccolti dalla BBC stimano che i fumatori elettronici buttino 5 milioni di vaporizzatori usa e getta a settimana. Negli Stati Uniti, il rapporto del 2023 della Fondazione CDC svela che otto milioni di americani utilizzano le sigarette elettroniche e acquistano 11,9 milioni di pipette usa e getta ogni mese. Così, quintali di metalli preziosi come il cobalto e il rame finiscono nelle discariche. Il che apre all’esigenza di un ennesimo autodafè, un abiura convinto delle generazioni più consumistiche degli ultimi venti anni che devono diventare consapevoli che la quantità di rifiuti elettronici generata nel solo 2019 ammonta a 53,6 milioni di tonnellate. Il che significa che questi elementi non sono recuperati e riciclati. E quindi è necessario estrarre sempre più materie prime.

Sfortunatamente, le infrastrutture per riciclare tali rifiuti non sono tante e non generano per ora grandi margini. Il processo di estrazione ha costi ambientali e umani. «La giustizia climatica richiede una transizione equa», scrive Agnès Callamard, Segretaria Generale di Amnesty International nel Rapporto Minerario del Congo del 2023. «La decarbonizzazione dell’economia globale non può portare a ulteriori violazioni dei diritti umani».

Il mesto funzionario politico cinese, se va avanti così, ha tre possibilità: dimettersi, suggerire al suo governo e alla mente di TikTok, Zhang Yiming (e i suoi addentellati tra Los Angeles e le Cayman) di moltiplicare gli impianti per il riciclo dei metalli preziosi e comunicarlo con enfasi. Oppure può stendere un dettagliato rapporto alle autorità denunciando che TikTok rappresenta una seria minaccia per l’ordine costituito. E dire addio al fatturato di 85,2 miliardi di dollari all’anno.

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