È pur sempre un mercatoCosa sta facendo la Commissione europea contro la carenza di forza lavoro

Puntare sulla mobilità può non essere sufficiente per colmare i difetti di disuguaglianza economica e sociale. Palazzo Berlaymont sta valutando una serie di interventi ad hoc per stimolare l’offerta e facilitare la ripresa dell’occupazione

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Il mercato del lavoro sembra essere in crisi da tempi immemori eppure, all’indomani di una pandemia che ha rivoluzionato le abitudini dei più e con una guerra alle porte dell’Europa che ha ridisegnano gli equilibri globali, il tema dell’occupazione riemerge dall’oblio e si impone nelle agende governative.

Lo riconosce anche la Commissione europea che, proprio in questi giorni, sta valutando una serie di interventi ad hoc per stimolare e rendere appetibile il mercato lavorativo dell’Unione. Troppo assopito, poco convincente: il panorama lavorativo nel vecchio continente appare stantio, privo di prospettive interessanti che invece di avvicinare potenziali candidati e canditate allontana, lasciando gli imprenditori a bocca asciutta.

E mentre in Italia si offrono, allo stesso tempo, palliativi alle aziende per convincere ad assumere persone a suon di sgravi fiscali e incentivi, il mercato del lavoro continua ad affondare: la quota di persone che in Europa nel 2022 rischiavano di raggiungere la soglia di povertà e di esclusione sociale ha raggiunto il 21,6 per cento.

Il giornale tedesco Die Zeit  in un recente articolo ha citato una frase contenuta in un report del 2002 dell’Istituto per l’economia mondiale di Kiel: «Potrà spaccare il cuore a qualcuno, ma anche il mercato del lavoro è un mercato». Uno spazio, il mercato per l’appunto, che deve attirare attenzione e sapersi adeguare alle nuove sfide, per garantire crescita e stabilità.

Mentre il settantacinque per cento delle aziende europee dichiara di non avare abbastanza lavoratori, un report del 2021 della Commissione europea mostra come le fragilità del mercato europeo siano complesse ed eterogenee. L’automazione dei processi produttivi, la transizione ecologica, l’invecchiamento della popolazione; se prima del 2020 questi restavano fattori sfidanti ma ancora gestibili, la pandemia ne ha catalizzato gli effetti, disorientando ogni segmento del mercato del lavoro. Salute, mobilità, agricoltura, hospitality, retail e settore edilizio sono stati tra gli ambiti maggiormente colpiti dalla pandemia e che al momento faticano nel ritrovare forza lavoro.

Il quadro, apparentemente inedito e contraddittorio, in realtà è in linea con le evoluzioni degli ultimi anni, caratterizzati da un’apertura verso obiettivi di sostenibilità ambientale e progresso digitale ma anche da continui ridimensionamenti del costo lavoro. Infatti mentre, a causa dell’invecchiamento della popolazione, in molte regioni del nord Italia il numero dei pensionati supera quello dei lavoratori, i potenziali candidati si ritrovano ad affrontare una serie di difficoltà.

In primis un disallineamento tra competenze richieste (legate soprattutto al digitale) e formazione ricevuta e in secondo luogo, per i giovani, l’impossibilità di accedere a contratti stabili, con la proliferazione di formule d’assunzione che non permettono un’integrazione definitiva alla sfera occupazionale che, anche quando trova il candidato ideale non sa valorizzarlo.

Il mercato del lavoro è pur sempre un mercato, con almeno due attori- da un lato chi cerca lavoratori e dall’altro chi cerca impiego- a primo acchito non sovrapponibili ma che raccontano di un elemento che finora aveva trovato poco spazio e considerazione: il libero arbitrio.

La narrazione finora dominante che premiava il binomio lavoro-sacrificio è ormai obsoleta, lo confermano il 2,9 per cento di posti vacanti nelle aziende europee e fenomeni che stanno investendo ogni angolo del globo, come il lavoro da remoto e le Grandi Dimissioni in nome delle quali circa 2,2 milioni di persone hanno abbandonato il proprio lavoro, solo nel 2022. Non si vive solo per lavorare- talvolta pure male- e secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OECD) sono diversi i fattori da tenere a mente nella scelta di un impiego e che, a loro volta, contribuiscono a rendere un Paese attraente agli occhi di chi si candida.

L’Indice di attrazione dei talenti pubblicato dall’ente, infatti, prende in esame diversi elementi che incidono sull’appeal di una Nazione: qualità delle possibilità offerte, tasse e salari, prospettive future, dimensione familiare, ambiente formativo, inclusività, qualità della vita e salute. Nella classifica 2023 dei Paesi più attraenti per i lavoratori e le lavoratrici ad alto grado di specializzazione, la Nuova Zelanda è al primo posto mentre all’ultimo troviamo il Messico, con l’Italia che si avvicina al fondo della lista.

Mentre il concetto di lavoro va riformulandosi, la sfida è attrarre forza lavoro e incentivarla a restare tentando di sfruttare le congiunture positive. Immaginando l’Europa del 2030, la società di consulenza McKinsey ha ipotizzato un futuro del lavoro caratterizzato dalle tendenze già note:  la differenziazione geografica del lavoro e la migrazione, l’automazione e la mutabilità delle occupazioni e dei settori. Su una prospettiva a lungo termine e partendo dall’analisi di 1095 mercati del lavoro nel continente il rapporto suggerisce la necessità di un intervento incisivo e immediato per rimodellare il mercato, al fine di far fronte agli scenari di diseguaglianza lavorativa e sociale provocati dall’avanzare delle intelligenze artificiali e dalla concentrazione di occupazione a favore dei grandi hub e megalopoli.

Scenari che già si dispiegano dinanzi ai nostri occhi e a quelli della Commissione Europea che per il 2030 ha in mente obiettivi ambiziosi, anche all’insegna della mobilità. Con il progetto “Europa in movimento” la Commissione propone la promozione della circolazione tra gli stati dell’EU ai fini formativi, prevedendo l’aumento della mobilità (almeno il venticinque per cento) per chi ha un diploma di istruzione superiore, almeno il quindici per cento per i chi frequenta istituti di formazione professionale.

Una mobilità non solo intra europea ma che coinvolga talenti provenienti da Paesi terzi con l’istituzione, per esempio, di un «Pool di talenti dell’UE» dedicato a persone non-europee, alla loro assunzione e al riconoscimento (facilitato) dei propri titoli e qualifiche per velocizzarne l’inserimento nel mercato del lavoro. Puntare sulla mobilità forse non basterà ma i lavoratori di oggi, non solo del 2030, meritano passi risoluti e competenti e di certo tanta, ma tanta fiducia.

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