Un progetto di Voxeurop in collaborazione con Eurozine indaga attraverso sei saggi il futuro dell’Europa, rileggendo alla luce del conflitto scatenato dall’invasione russa dell’Ucraina uno storico intervento del 2003 di Jürgen Habermas e Jacques Derrida.
Vent’anni fa, il 31 maggio 2003, Jürgen Habermas, sostenuto da Jacques Derrida e accompagnato da altri importanti intellettuali, lanciò un’ambiziosa iniziativa per la creazione di una sfera pubblica europea. Secondo loro, questa iniziativa avrebbe portato a un profondo rinnovamento dell’Unione europea e all’emergere di un’identità europea comune. In tedesco si chiamava Nach dem Krieg: Die Wiedergeburt Europas, ossia Dopo la guerra: la rinascita dell’Europa. Ciò che spinse Habermas a scrivere questo appello, pubblicato sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung e su Libération, fu una specifica congiuntura storica: nella primavera del 2003, in diverse capitali europee si erano tenute delle manifestazioni per protestare contro l’invasione statunitense dell’Iraq, in violazione del diritto internazionale: si trattò forse delle più grandi manifestazioni pubbliche dalla fine della Seconda guerra mondiale.
Allo stesso tempo, la guerra in Iraq aveva reso gli europei dolorosamente consapevoli della loro stessa incapacità di formare una politica estera comune, innescando una riflessione sul futuro ordine mondiale.
In questa situazione, osservò Habermas, l’Europa era predestinata a esercitare la sua influenza nel delineare una «futura politica interna globale». L’esperienza storica del Vecchio continente gli imponeva di dimostrare «che in una società mondiale complessa non contano solo le divisioni, ma anche il soft power che consiste nel saper negoziare programmi, relazioni e vantaggi economici. In questo mondo, la riduzione della politica all’alternativa stupida e costosa fra la guerra o la pace semplicemente non paga».
Oggi è necessario ammettere che la visione dell’Europa concepita da Habermas non è mai stata realizzata, ma possiamo imparare qualcosa dal suo tentativo. Questo fallimento, infatti, è dovuto a diverse ragioni.
Innanzitutto, il suo più grande errore è stato quello di immaginare un’Europa calcata sull’Europa centrale, in un’omissione quasi totale della prospettiva dei nuovi Stati membri dell’Ue a Est, come se il 1989 non fosse mai avvenuto. Nel maggio 2003 l’allargamento era già stato deciso: meno di un anno dopo la pubblicazione dell’articolo di Habermas, l’Ungheria, la Polonia, la Slovacchia, la Slovenia, la Repubblica Ceca e i tre Stati baltici entrarono a far parte dell’Unione. Nell’appello di Habermas la loro assenza è evidente.
Questa lacuna ha provocato ulteriori fraintendimenti. Ad esempio, la presunzione che la democrazia potesse fare a meno del potere di coercizione: come oggi è ormai chiaro, questo ha permesso alla Russia di sviluppare, senza ostacoli, le sue ambizioni imperiali.
Oppure la convinzione che il principale ostacolo a un ordine mondiale «ragionevole» fosse l’«unilateralismo egemonico» degli Stati Uniti e che fosse quindi necessario formulare un’identità europea in netta opposizione a quella degli Stati Uniti.
Habermas era convinto che almeno noi europei vivessimo in un’epoca post bellica, «dopo la guerra», come recitava il titolo del manifesto. E anche quando, due decenni dopo, nell’aprile del 2022, ha pubblicato le sue prime riflessioni sull’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, Habermas ha iniziato notando che l’attacco era avvenuto «dopo settantasette anni senza guerra».
Questa frase è stata poi modificata nella versione online dell’articolo, ma l’iniziale omissione delle guerre jugoslave degli anni Novanta, della guerra russo-georgiana del 2008 o dell’inizio della guerra russo-ucraina in Crimea e nel Donbas nel 2014, sono profondamente indicative.
Per Habermas, l’Europa è un progetto postbellico. Per lui, come per la maggior parte degli europei occidentali, non ultimi i tedeschi, l’interdipendenza economica eviterebbe inevitabilmente grandi conflitti militari, ora e in futuro. E la strada da seguire è, all’interno, un’integrazione economica e politica sempre più profonda e, all’esterno, il “Wandel durch Handel”, il cambiamento attraverso il commercio.
Vent’anni dopo, invece, siamo di fronte a una guerra che dimostra brutalmente i limiti del soft power europeo. L’aggressione russa rappresenta, come a suo tempo la Guerra in Iraq, una minaccia per un ordine mondiale pacifico. La guerra della Russia contro l’Ucraina non solo viola il diritto internazionale, ma è anche direttamente rivolta contro l’Europa e l’Occidente come comunità di valori.
Allo stesso tempo l’Europa, nonostante tutte le tensioni e le fratture interne, ha reagito all’aggressione della Russia con una solidarietà sorprendente, che va dalla politica verso i rifugiati, alle sanzioni economiche, fino alla fornitura di armi. E in questa posizione è stata sostenuta senza riserve dagli Stati Uniti. L’Europa e il resto dell’Occidente sono uniti, almeno per ora. Invece dell’interdipendenza, l’indipendenza energetica è diventata un obiettivo dichiarato.
Invece di un’integrazione sempre più stretta di pochi Paesi europei “centrali”, l’ulteriore ampliamento dell’Ue è ritornato all’ordine del giorno, non solo come obiettivo economico e sociale, ma anche come misura di sicurezza, per raggiungere una stabilità a lungo termine in una situazione geopolitica sempre più volatile. I Balcani occidentali sono di nuovo al centro dell’attenzione, con l’Ucraina e la Moldova. Ciò sta indiscutibilmente spostando il centro di gravità verso Est, non solo geograficamente, ma anche quando si tratta di stabilire quale prospettiva sia rilevante e quale no.
Come dovrebbe comportarsi l’Europa con questa configurazione radicalmente metamorfizzata? Sembra sia giunto il momento di un nuovo tentativo di rinnovamento.
Con questa serie vogliamo contribuire alla comprensione di se stessi degli europei di fronte alla più grande sfida dopo la Seconda guerra mondiale. Abbiamo chiesto ai principali intellettuali sia dell’Europa occidentale sia di quella orientale, compresa l’Ucraina, di raccogliere questa sfida e di riflettere sulla possibilità di una “rinascita dell’Europa”.
In questo contesto, l’articolo del 2003 di Habermas e Derrida è soprattutto un punto di partenza e non circoscrive in alcun modo l’approccio intellettuale o le questioni da affrontare.
Una visione del futuro dell’Europa, come scriveva Habermas nel 2003, «nascerà dell’inquietante percezione della perplessità». Il disorientamento e la vulnerabilità percepiti oggi sono diversi da quelli di vent’anni fa.
Le lezioni da trarre dalla guerra in corso alcune volte sembrano andare esattamente nella direzione opposta. In ogni caso, la necessità di sviluppare una visione di ciò che l’Europa è, e di ciò che potrebbe e dovrebbe diventare, rimane più importante che mai.
Vienna e Bua, luglio 2023.
Pubblicato in collaborazione con Voxeurop.eu