Le autorità israeliane stanno indagando sulla veridicità delle affermazioni contenute nello studio di due ricercatori statunitensi – Robert J. Jakson della New York University e Joshua Mitts della Colombia University – dal titolo “Trading on Terror?”, secondo cui alcuni investitori potrebbero essere stati a conoscenza in anticipo di un piano di Hamas per attaccare Israele il 7 ottobre usando tali informazioni per trarre profitto dai titoli israeliani.
La ricerca di 66 pagine ha rilevato significative vendite allo scoperto, short selling, scommettendo al ribasso, su titoli di società israeliane poco prima degli attacchi. Il guadagno, in questi casi, avviene se le quotazioni scendono. E così è andata, facendo configurare quindi il reato di insider trading.
«Giorni prima dell’attacco, alcuni trader sembravano muoversi anticipando quanto poi accaduto», si legge nello studio in cui si cita l’interesse per l’Mcsi Israel Exchange Traded Fund (Etf), un indice che replica la composizione della borsa di Tel Aviv, che “improvvisamente ha registrato un insolito picco di scambi» lunedì 2 ottobre con un calo di oltre il 7 per cento.
In più, «subito prima dell’attacco, le vendite allo scoperto di titoli israeliani alla borsa di Tel Aviv (Tase) sono aumentate sensibilmente», si legge nel paper. Per una società israeliana in particolare, la Leumi, sono state vendute allo scoperto 4,43 milioni di azioni nei giorni antecedenti all’attacco, garantendo a chi ha mosso i titoli profitti per 3,2 miliardi di shekel (862 milioni di dollari). Le società che hanno registrato l’incremento più marcato di vendite allo scoperto nei giorni antecedenti all’attacco sono risultate essere Generation capital (+ 59 per cento di vendite “naked”), Sella Real estate (+ 57 per cento), la banca Leumi (+ 49 per cento), Novolog (+ 39 per cento) ed Energix (+ 30 per cento).
Lo studio non asserisce che a movimentare i titoli siano stati direttamente esponenti di Hamas né è in grado di fornire indicazioni sulla provenienza degli ordini ma si limita a tracciare una correlazione tra vendite e possibili informazioni privilegiate e riservate con i successivi accadimenti.
Dalla Borsa di Tel Aviv hanno fatto sapere a Reuters di aver informato la Israel Securities Authority, che ha affermato: «La questione è nota all’autorità ed è oggetto di indagine da parte di tutte le parti interessate».
I ricercatori hanno affermato che le vendite allo scoperto, in cui gli investitori si aspettano che il prezzo delle azioni scenda, consentendone il riacquisto a un prezzo inferiore con profitto, prima del 7 ottobre «hanno superato le vendite allo scoperto avvenute durante numerosi altri periodi di crisi», inclusa la crisi finanziaria del 2008, la guerra Israele-Gaza del 2014 e la pandemia da Covid-19.
«Anche se non vediamo alcun aumento complessivo delle vendite allo scoperto delle società israeliane sulle borse statunitensi, notiamo un forte e insolito aumento, subito prima degli attacchi, nel commercio di opzioni rischiose a breve termine su queste società che finiscono subito dopo gli attacchi», hanno scritto. «I nostri risultati suggeriscono che i trader informati sugli attacchi imminenti hanno tratto profitto da questi tragici eventi, e in linea con la letteratura precedente dimostriamo che scambi di questo tipo avvengono grazie alla violazione dei divieti legali sul trading informato».
I professori hanno fatto riferimento anche a schemi già verificatisi all’inizio di aprile, quando venne riferito che Hamas stava inizialmente pianificando il suo attacco contro Israele. «Il volume delle posizioni short nell’Eis (l’ETF MSCI Israel) ha raggiunto il picco il 3 aprile a livelli molto simili a quelli osservati il 2 ottobre», dicono.